La lezione di Napolitano

lezsione di napolitanoLa politica – soleva dire Nenni – è il campo del possibile. Bisognerebbe aggiungere che è anche il campo dell’imprevedibile, se è vero – come è vero – che nel dicembre scorso Enrico Letta aveva sentenziato che in un Paese come il nostro , caratterizzato da un’aspra “guerra civile” fra la Sinistra e la Destra, un governo di larghe intese era impensabile. Quale è stata la variabile che ha indotto Letta a cambiare opinione fino ad accettare il mandato di formare un esecutivo basato sulla collaborazione istituzionale fra il Pd e il Pdl , è a tutti nota: la ferma posizione assunta da Giorgio Napolitano. Il quale ha operato come un vero e proprio Deus ex machina che ha sbloccato una situazione paralizzata e paralizzante.

Non appena è stato rieletto Presidente della Repubblica, ha inviato i partiti a prendere atto che i numeri emersi dalle urne dicevano, con la loro muta eloquenza, che c’era solo una via per uscire dalla drammatica crisi in cui si trovava il nostro Paese e che questa poteva essere imboccata alla tassativa condizione : che la Sinistra si liberasse della visione demonizzante del partito di Berlusconi e che finalmente accettasse uno dei principi essenziali della democrazia liberale: il principio secondo il quale esistono “avversari”, non già “nemici” da screditare con tutti i mezzi.

Un principio che una parte della Sinistra – quella potentemente influenzata dalla concezione marxleninista della politica come guerra di annientamento del Nemico Assoluto — ha sistematicamente calpestato. E’ accaduto, così, che alla “guerra civile” fra il “partito proletario” – leggi : il Pci – e i “partiti borghesi” , che ha dominato la scena nazionale durante i decenni della Guerra fredda , si è sostituita la “guerra civile” fra il “partito dei virtuosi” e il “partito dei corrotti”. Una contrapposizione tipica della cultura politica giacobina, che nulla ha a che vedere con la cultura politica dell’Internazionale socialista.

Grande, quindi, è il significato “pedagogico” del messaggio lanciato da Napolitano. Un messaggio che, se verrà convenientemente metabolizzato dal Pd, contribuirà non poco a “normalizzare” il funzionamento della nostra democrazia . La quale, per l’intanto, ha una sola via davanti a sé: un governo di tregua capace di centrare due obbiettivi. Il primo: la ripresa della crescita economica, condizione indispensabile per combattere la disoccupazione che ha assunto dimensioni allarmanti . Il secondo: una riforma costituzionale che elimini il più grave dei difetti dell’assetto istituzionale della Repubblica: l’assurdo bicameralismo.

Tutto ciò non significa la cancellazione della distinzione fra Destra e Sinistra. Essa non ha certamente perso la sua rilevanza politica, sociale e culturale. E questo perché non è affatto vero che oggi nel mondo occidentale domina il pensiero unico. Sulla scena ci sono almeno due modi di concepire il capitalismo: quello socialdemocratico e quello neoliberista. Il futuro della civiltà in cui e di cui viviamo molto dipenderà dall’esito del conflitto fra questi due paradigmi. Avremo un ulteriore sviluppo democratico, se prevarrà il primo.

Luciano Pellicani

 

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

3 thoughts on “La lezione di Napolitano

  1. E quando in politica gli “avversari” sono dei “corrotti che si screditano da sé”, e che della corruzione e del discredito fanno elastico trampolino di lancio per le proprie ambizioni, ottenendone pure esaltanti risultati?, come ci si deve muovere nel “campo del possibile”?

    Forse facendoseli alleati perché finalmente colgano il potente “significato pedagogico” che scaturisce da una sinistra finalmente capace di non essere più “leninista”?

    Come se appunto Lenin fosse ancora il nume tutelare del PCI di Berlinguer, del PDS di Occhetto, dei DS di Fassino, e del PD di Veltroni Franceschini e Bersani, e come se il PSI di Craxi non fosse stato corroso/tto da una interna mutazione genetica, che Riccardo Lombardi (noto leninista) denunciava già nel 1981.

    Vittorio Melandri

  2. Nelle mie analisi parto sempre dalla ferita grave inferta alla nostra Costituzione dall’approvazione della legge 270/2005 di riforma della legge elettorale: una legge di fatto concordata tra i due poli apparentemente alternativi. E’ sufficiente ripercorrere l’iter parlamentare per scoprire il gioco delle parti: quando si esce dalla sede deliberante per protesta tutti capiscono, che si vuole l’approvazione della legge. D’altra parte il suo modello era la legge elettorale toscana. Si è introdotta una specie di elezione /designazione diretta del Primo Ministro in una Costituzione con forma di governo parlamentare. Un sistema maggioritario travestito da proporzionale, così da sommare i difetti dei due sistemi. Con quella legge e con il suo abnorme premio di maggioranza era inevitabile la creazione di un bipolarismo artificiale, un sistema diviso in due campi necessariamente alternativi: bastava un voto un più del blocco avversario per prendersi il premio di maggioranza. Non solo si era costretti a dar vita a coalizioni altrettanto posticce, incapaci di governare. Coalizioni che non reggevano ad una legislatura come le vicende del 2006 e del 2008 e infine del 2013 hanno dimostrato. Le liste bloccate hanno dato il colpo finale alla democrazia rappresentativa: un centinaio di persone ( ad essere larghi ) che nominano 945 parlamentari invece di farli eleggere da 44 milioni di cittadini . Uno spropositato ed incontrollato potere in mano ad oligarchie, nel migliore dei casi, quando non, a destra e sinistra, nelle mani di un capo o padrone di una lista. In nessun paese c’è un tale potere in capo a partiti in assenza di ogni legge regolatrice degli stessi: una regolamentazione tra l’altro richiesta dall’inattuato art. 49 della Cost.. In tale contesto la delegittimazione del capo dello schieramento avversario non era un espediente ma una necessità. Quando si sono invocate le Grandi Coalizioni tedesche ci si dimentica che quello è un sistema proporzionale con soglie di accesso e che i partiti hanno una chiara identità politico-programmatica: mentre in Italia la vocazione maggioritaria ha comportato partiti, con unico vincolo quello del successo elettorale: PD e PdL ne sono l’esempio. Si sono intaccate le prerogative presidenziali nella scelta del Presidente del Consiglio dei Ministri( chiamiamolo con il suo nome) e di fronte al fallimento delle coalizioni indicate dagli elettori (2006 e 2008) o alla mancanza di un’univoca indicazione(2013) era naturale l’espansione dell’unico potere costituzionale legittimo e in grado di decidere: il Presidente della Repubblica. L’altro potere quello legislativo, teoricamente il più importante in una democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare era ed è fuori gioco: si tratta di nominati che non rispondono ai loro elettori, ma a chi li ha collocati, d’autorità o in seguito a trattative tra gruppi di potere, in posizione eleggibile. Nelle vicende dell’elezione del Presidente della Repubblica è stato chiaro che nelle scelte dei parlamentari a voto segreto non c’è l’esclusivo interesse della Nazione( art. 67 Cost.) o la disciplina di partito, ma la dinamica dei gruppi federati momentaneamente in un partito. Chi vede gli effetti e non le cause si è messo a gridare al tradimento della Costituzione, di inammissibile interventismo presidenziale, addirittura di degenerazione presidenzialista. In Italia, a differenza della Germania dove il Cancelliere è eletto a scrutinio segreto dal Bundestag, tutti i governi sono governi del Presidente, perché è il Presidente che li nomina ed entrano in carica con pieni poteri con il giuramento nelle sue mani. La fiducia parlamentare è una ratifica, che presuppone parlamentari senza vincolo di mandato. Da qui, da uno stato di necessità, cui per insipienza politica tutti i soggetti parlamentari e partitici hanno concorso, passare ad un’esaltazione di un accordo il passo è più lungo delle gambe. Questo è e resta un governicchissimo. Per dimostrare il contrario dovrebbe dare quello che non può assolutamente fare: una nuova legge elettorale. Non lo farà perché teme per la sua durata, se ci fosse una legge elettorale più potabile e meno incostituzionale, alle prime difficoltà andrebbe in pezzi. Quindi prende tempo e lega la riforma elettorale alla diminuzione del numero dei parlamentari e alla riduzione di costi della politica ( abolizione del finanziamento pubblico ai partiti) tanto per dare qualcosa in pasto ad un’opinione pubblica intossicata), cioè a scelte contro il pluralismo della rappresentanza invece di riformare la politica e i partiti. Che duri o no il governo è irrilevante se non per le emergenze finanziarie, ma i problemi del nostro sistema politico di assetto non europeo resteranno tutti irrisolti

    1. “Questo è e resta un governicchissimo. Per dimostrare il contrario dovrebbe dare quello che non può assolutamente fare: una nuova legge elettorale.” Concordo in pieno con Besostri, e questo aspetto della questione, ovvero la strutturata menzogna che rifila ai disgraziati cittadini elettori di questo paese, un incongruo legame fra legge elettorale e riforme costituzionali, dovrebbe da sola bastare come cartina di tornasole capace di evidenziarne la natura “truffaldina”, ancorché formalmente legale (il che ne rappresenta una aggravante, e non una attenuante). Mi convinco sempre di più che il peggio debba ancora arrivare, e questo va al di là di ogni più pessimistica ed infausta profezia, ma come noto la realtà supera sempre la fantasia.

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