La svolta socialista

partito socialista simboloSi intitola così il nuovo libro di Andrea Spiri, edizioni Rubbettino, che è stato presentato e discusso recentemente a Roma. Il volume ripercorre le dinamiche interne al Partito Socialista Italiano e l’ascesa di Craxi in una delle fasi più intense e controverse della sua parabola politica, cioè dalla “congiura” del Midas del 1976 fino al Congresso di Palermo del 1981. Stretto nella morsa dell’accordo tra democristiani e comunisti, il PSI della metà degli anni Settanta era un partito diviso al suo interno, privo di una strategia politica convincente, dunque incapace di misurarsi con le trasformazioni in atto nel tessuto sociale sempre più eterogeneo e stratificato. Fu in questo contesto che nel 1976 si crearono le premesse del “nuovo corso” inaugurato da Bettino Craxi e destinato a marcare una netta discontinuità con il passato. Il libro di Spiri racconta gli anni della svolta, quelli in cui Craxi lavorò al rilancio del protagonismo politico della forza socialista, ne rivide le direttrici strategiche, intervenne sul modello di partito dopo aver preso in mano le principali leve per il controllo dell’apparato. Furono quelli gli anni dell’orgoglio di milioni di socialisti in tutta Italia, desiderosi di lasciarsi alle spalle una lunga stagione di subalternità e di confrontarsi, senza timori reverenziali, con piazza del Gesù e Botteghe Oscure. In una bella sala affollata e ricca di volti noti della politica, al centro e sui tetti di Roma, del libro e non solo hanno discusso Stefania Craxi, Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Paolo Mieli, Marcello Sorgi e Marco Gervasoni. Ad accendere la discussione è stato Marcello Sorgi, che ha paragonato il PSI di allora al PD di oggi, ricordando le parole con cui Norberto Bobbio – all’epoca il principale intellettuale di area socialista – descrisse il PSI: un partito indisciplinato, perfino un po’ scombinato, tanto vario da apparire lacerato, tanto mobile da apparire instabile, tanto instabile da apparire senza bussola. Lo stesso Sorgi ha rincarato la dose: ora come allora, il sistema politico non riesce a produrre maggioranze stabili ed, ora come allora, la riforma presidenzialista della Repubblica è un tema centrale del confronto politico. D’Alema però ha ricordato che i tempi sono diversi e se allora la riforma presidenziale avanzata da Craxi rappresentava una forma di differenziazione rispetto all’offerta politica di DC e PCI, oggi essa rappresenta un vero banco di prova per il PD. I conflitti di quegli anni tra PSI e PCI, che finirono per avvantaggiare solo la DC, hanno privato l’Italia di un grande partito riformista di stampo europeo. A questo problema il PD è chiamato oggi a dare una risposta. E la prova di questo salto riformista è costituita proprio dall’accettazione di un modello presidenzialista da parte del PD. D’Alema ha riconosciuto a Craxi il merito di aver messo il PSI in linea con la socialdemocrazia europea, tagliando con il marxismo. Ma le posizioni anticomuniste assunte dal PSI non potevano di certo favorire un accordo con il PCI. Mieli ha ricordato come in quegli anni in tutta Europa i partiti socialdemocratici combattessero i partiti comunisti. Del resto le vicende del tempo richiedevano delle scelte di campo chiare. Tra queste ad esempio quella sugli euromissili, che vide il PSI nettamente schierato, a differenza del PCI, su un terreno comune a quello degli alleati atlantici. Amato ha ricordato come questa ed altre scelte, quale la rivalutazione dell’amor patrio, contribuirono a mitizzare l’aspetto decisionista del leader socialista. E, rispondendo a D’Alema, ha anche sottolineato come il PSI non mancò di aprire le porte dell’Internazionale Socialista agli eredi del PCI. Stefania Craxi ha anche ricordato come la storia del PSI dell’epoca fosse la storia di una sinistra riformista vincente. La capacità aggregante del PSI si basò su scelte poi rivelatesi lungimiranti, come quelle sull’ingresso nel Sistema Monetario Europeo, sul caso Moro, sugli euromissili. Questa storia di unità a sinistra si interruppe quando all’appuntamento con gli eredi del PCI si presentò la Procura di Milano. Anche per la Craxi la scelta presidenziale è oggi inevitabile. Amato ha però ricordato che le riforme istituzionali da sole non sono sufficienti. Quello che manca ai nostri giorni è soprattutto la capacità dei partiti di rappresentare le istanze della popolazione, soprattutto di quella più giovane. Le scelte a cui tutti i Partiti saranno chiamati nel prossimo futuro sugli assetti istituzionali della Repubblica e sulla legge elettorale, sia essa il prologo o l’epilogo delle riforme, ci riserverà delle sorprese, tra i Partiti e all’interno degli stessi. Se tutti coloro che, con differenti velature, fanno propri la tradizione e l’orizzonte socialdemocratico – da Nencini a D’Alema, da Chiamparino a Renzi, da Amato a Craxi – riuscissero a trovare in questo momento delicato per il futuro del nostro Paese il coraggio di confrontarsi senza pregiudizi né rancori, chissà che non possa davvero nascere un grande partito socialdemocratico di stampo europeo che finalmente porti sotto uno stesso tetto, sia i socialisti di sinistra che quelli di destra, sia i laici che i cattolici. Una nuova svolta socialista.

Alfonso Siano

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

One thought on “La svolta socialista

  1. IL PUNTO PRINCIPALE OGGI PER CHI VUOL VEDERE E CAPIRE I MOVIMENTI SOCIALI E SOCIETARI E’ QUELLO DI RACCOGLIERE LA SFIDA DELL’ASTENSIONISMO DI MASSA. L’elezione diretta del Capo dello Stato di per sé non significa nulla, il punto è se con l’elezione diretta si voglia o no introdurre una forma di governo semi-presidenziale o presidenziale che non sono la stessa cosa: il primo infatti, non lasciandosi ingannare dal nome, è una forma di governo parlamentare razionalizzato. Preoccupa qualsiasi riforma fatta con l’ignoranza di concetti elementari e soprattutto la contaminazione fra modelli. Noi siamo stati capaci di inventare sistemi elettorali proporzionali con premio di maggioranza, che tra l’altro si traduce in un numero maggiore di seggi quanto minore è il consenso elettorale. Abbiamo inventato un premio di maggioranza legato al Sindaco o al Presidente di Regione, per i quali è ammesso il voto disgiunto, ma di cui beneficiano solo le liste collegate ed anche esse in misura tanto maggiore quanto minore è il loro consenso. Abbiamo rovesciato 200 anni di sviluppo della democrazia per cui il governo risponde all’assemblea elettiva nelle forme di governo parlamentare ovvero è controllato dal Parlamento in quelli presidenziali nel principio opposto:” l’assemblea deve avere la fiducia del capo dell’esecutivo”, che dimettendosi o essendo sfiduciato manda a casa l’assemblea rappresentativa, mentre in un sistema presidenziale se ne va lui a casa. Nel nostro sistema un capo dell’esecutivo può evitare qualsiasi forma di controllo compreso l’impeachment, se il modello sindaco, come chiede Renzi, venisse trasferito alle istituzioni nazionali. Solo per queste ragioni ci si deve opporre all’elezione diretta e alla trasformazione della forma di governo ad un presidenzialismo all’italiana, basato sulla scomparsa della divisione, che negli USA è netta, e nei regimi parlamentari vale sempre l’art. 16 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadini: ” Art.16. Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.”
    La Grande Riforma di Craxi non è mai stata altro che un bello slogan: nessun disegno di legge costituzionale è mai stato presentato. I nani di oggi dicano chiaramente cosa vogliono senza nascondersi dietro l’ombra di quel gigante politico che è stato Craxi, con pregi e difetti e soprattutto affidino al popolo e non a un PARLAMENTO DI NOMINATI CON LA FOGLIA DI FICO DI UN COMITATO DI ESPERTI LOTTIZZATI LA SCELTA TRA FORMA DI GOVERNO E FORMA DI STATO, COME IL POPOLO ITALIANO E’ STATO IN GRADO DI SCEGLIERE TRA MONARCHIA E REPUBBLICA

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