In nome del futuro

repubblica delle ideeGli intellettuali da “grandi firme” di la Repubblica si sono pronunciati alla Festa delle Idee (“aprite le porte al cambiamento”) per quattro giorni a Firenze. Il sunto di tale intendimento trova espressione in Eugenio Scalfari: “Siamo in una fase di passaggio d’epoca, non stancatevi di ricordarlo. I passaggi d’epoca sono fasi emozionanti, avventurose, drammatiche ed entusiasmanti, una sorta di patto collettivo che non dimentica i progenitori ma costruisce il futuro.” Tre concetti vengono messi in campo: l’attuazione del cambiamento, i progenitori da non dimenticare, la costruzione del futuro. La dicitura “in nome del futuro” è il titolo di un articolo scritto in proposito dal direttore del giornale, Ezio Mauro. Il futuro è il punto. Quale futuro e come? A somiglianza di quali progenitori del passato? Questa domanda implicita, ovviamente, il rinvio anche a quali nomi del presente debbano essere annoverati, a loro volta, come progenitori: giacché in futuro saranno anch’essi da considerarsi come progenitori. C’è un ma, che può riguardare costoro, nella loro funzione di testimoni-agonisti del cambiamento in atto: cambiamento di cui, peraltro, non sono i veri fautori. Ne sono piuttosto elementi componenti di un cambiamento impersonale, che in quanto tale, li relegherà probabilmente in un passato dichiarato non idoneo a far parte del futuro, se il futuro, infatti, accadrà come tale. In tutto ciò è soprattutto la messa in mostra del concetto di cambiamento che intriga, perché non essendo definito né nei suoi contenuti né nelle sue forme, si può avere la sensazione che si tratti di un riuso del lessico d’antan degli infausti anni Settanta, non ancora passati in giudicato, con i termini di “fuoriuscita da”, “transizione a” (i contenuti, altrettanto infausti, li sappiamo). Il sospetto corre subito all’intenzione che per questa via il futuro da costruire lo sia con la strumentazione di questo genere d’anticaglia. Perché diciamo anticaglia? Non certo per avversione prevenuta. Tutt’altro. Ma perché, se il futuro è veramente il futuro, quale risultante del cambiamento attuale, allora questo cambiamento andrebbe inteso come superamento proprio dell’arcata di questi ultimi decenni farraginosi (antimoderni), concettualmente determinati, per auto-definizione, dalle tumultuose e confusionarie congerie del pensiero negativo e del pensiero debole, tanto per citare le professioni di fede, imposte allora e tuttora nei vari sincretismi da “politicamente corretto” (tanto per citare un esempio). Ebbene, il futuro di tutto ciò non saprà che farsene. Il futuro, proprio perché è futuro, deciderà da sé i propri contenuti e le proprie forme, di cui nessuno può sapere ora cosa e come saranno allora: e tanto meno pensare di poterlo determinare. Certo, sarà invece interessantissimo sapere come il futuro si comporterà, nella sua autonomia, critica e creativa senz’altro, quando si tratterà di istituire il pantheon dei “progenitori da non dimenticare”: perciò di dichiarare (e lo farà autonomamente) “chi fur li maggior sui”. Ebbene anche in ciò il futuro giudicherà e deciderà da sé. Ma anche questa è questione che riguarderà chi ci sarà.

Cesare Milanese

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