-di GIULIA CLARIZIA-
Secondo uno studio dell’Istituto Toniolo commentato questa mattina su La Repubblica, la disaffezione dei giovani nei confronti della politica è in aumento. Questo è il dato con cui si guarda alle elezioni del prossimo quattro marzo: il 40,7% dei ragazzi intervistati non si è schierato a favore di nessun partito. Solo lo scorso anno questi erano il 34,6 %.
Sei punti percentuale in un anno non sono pochi. È il segnale di un processo in rapido svolgimento di una generazione che non solo non riceve risposte alle proprie esigenze ed ai propri interessi, ma sta anche smettendo di cercarle.
Infatti, il dato sembra essere omogeneo a livello territoriale e prescinde dal posizionamento politico ideale. Infatti, la metà dei “disaffezionati” ha dichiarato di non essere neanche in grado di collocarsi a destra o a sinistra sullo scacchiere politico.
Una distinzione che agli occhi di molti sta perdendo valore, se si considera che il partito più gettonato secondo i sondaggi, cioè il Movimento Cinque Stelle, attinge da un elettorato che fa riferimento sia ai valori della destra che a quelli della sinistra.
La domanda sorge spontanea: perché ai giovani la politica sta rapidamente smettendo di interessare?
È un fenomeno dovuto ai caratteri dell’attuale classe politica italiana o riguarda più nel profondo meccanismi legati al modo di vivere la società nel suo complesso?
Si parla spesso di delusione rispetto agli ultimi anni di governo. Gli stessi Cinquestelle marciano proprio su questo, sul fatto di essere la novità rispetto alla solita vecchia politica disonesta e “scaldapoltrone”, ma di fatto la partecipazione dei giovani alla politica è in calo in tutta Europa.
Qualcosa che non riguarda solo le dinamiche nazionali, deve essere andato perduto. Forse si tratta di un vero ideale, di quella spiritualità legata alla politica che era propria del secolo scorso, per cui si credeva in un progetto a lungo termine che potesse fare del bene, a prescindere dal colore della bandiera che si portava. Non a caso, la maggior parte dei giovani “impegnati”, quelli che scendono in piazza, portano avanti degli slogan sottratti ad altri tempi. È vero per i movimenti di destra che si rifanno in modo più o meno velato (e più o meno legale) al fascismo, ma lo è anche per i giovani schierati a sinistra che hanno come riferimento ideale soprattutto il ‘68. L’attivismo figlio di questi tempi, è raro.
Ed è rara anche la percezione di fare la differenza con la propria partecipazione, che si traduce nel voto. La diretta conseguenza della disaffezione è infatti l’astensionismo, che possiamo verosimilmente credere in aumento in vista delle prossime elezioni. Anche perché si sta perdendo la concezione di voto come dovere. Viene da chiedersi quanto sia solida l’altra faccia della medaglia, quella di voto come diritto, visto che i due aspetti dovrebbero essere strettamente collegati.