-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Due anni fa Giulio Regeni veniva inghiottito dal “buco nero” del sistema repressivo egiziano. Da allora poco o nulla si è mosso.
Oggi la mamma scrive in un post su Facebook: “Il nostro calendario mensile ha l’evidenza su tre date principali – hanno dichiarato – il 25, la scomparsa di Giulio, il 3, giorno del ritrovamento del suo corpo, il 14, punto sulla situazione della scorta mediatica. Questo significa che tutti i cittadini che chiedono con noi verità e giustizia per Giulio, seguono attentamente tutto ciò che succede e tutte le scelte che vengono fatte per arrivare alla verità. Speriamo che a breve si aggiunga a queste tre date quella in cui ci verrà consegnata la verità ‘vera’ e completa sulle responsabilità della barbara uccisione di nostro figlio”.
Le ultime novità e l’interrogatorio alla professoressa Maha Abdel Rahman, tutor di Giulio, sembrerebbero confermare che quel rapimento e il successivo omicidio si sono svolti in una zona grigia abitata da lestofanti in cerca di facili quattrini e organizzazioni che agiscono in parte alla luce del sole e in parte nell’ombra all’interno, probabilmente, di uno scontro di potere che si agita intorno all’uomo (un dittatore) che con eccessivo entusiasmo l’Italia e l’Europa (non a caso totalmente silente, indifferente e, quindi, indirettamente complice, sull’omicidio Regeni, fatta eccezione per qualche parola di circostanza) hanno deciso di sostenere in funzione anti-islamica.
Gli unici che sino ad ora hanno dimostrato realmente determinazione sono stati gli inquirenti italiani. Per il resto questa vicenda ha dimostrato l’ insostenibile debolezza della politica estera italiana gestita, sino a qualche tempo fa da un ex ministro dell’Interno che in un tweet garantisce di cercare la verità, proprio lui che nel passato non è stato in grado di chiarire vicende che lo vedevano direttamente coinvolto (il vergognoso caso Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov).
Diciamolo chiaramente: il nostro peso internazionale è ridotto ai minimi storici, soprattutto in quelle aree in cui un tempo grazie ai criticatissimi politici della prima repubblica, ci muovevamo con disinvoltura mietendo anche qualche successo. Ora, al contrario, non riusciamo a far venire a galla la verità sul caso Regeni e nel frattempo ci infiliamo in quel pantano libico appoggiando un capo di governo che non comanda nemmeno tra le pareti di casa sua e finendo in rotta di collisione con l’uomo forte del governo di Tobruk sostenuto proprio dall’egiziano al-Sisi e ora anche da Putin. Insomma, siamo in mezzo a un crocevia e non conosciamo nemmeno i sensi di marcia in cui le auto lo attraversano. Una cosa, però, è chiarissima: dopo due anni sul caso Regeni si gioca la parte rimanente della nostra credibilità internazionale. Oltre, ovviamente, al rispetto che bisogna portare al dolore e alla sete di verità di una famiglia.