-di SANDRO ROAZZI-
Fra le letture più… disarmanti degli ultimi tempi c’è l’ annotazione che la Merkel, oggi quasi pentita a quanto pare dell’ostracismo nei confronti di Berlusconi, fonda le sue maggiori fortune attuali e probabilmente quelle future su una politica che ha sostenuto le classi medie. Paragonato questo scenario allo sfascio dei ceti medi italiani, con meno soldi e status, si comprende come la via “tedesca” è imparagonabile a quella pasticciona e superficiale della politica italiana. Il gap è desolante prima ancora che profondo. E dimostra che malgrado tutte le mutazioni “genetiche” dell’economia e della vita civile è comunque necessario poggiare le scelte di fondo su una base sociale almeno per alcuni versi omogenea. Certo la Germania ha approfittato di tutte le opportunità che l’Europa del… lassaiz faire gli ha concesso, dal surplus commerciale mai davvero contestato alla ripresa degli investimenti favorita anche dal QE di Draghi. Ma resta il fatto che l’attenzione alla coesione sociale è di ben altro spessore rispetto a quanto è avvenuto in Italia.
Una seconda osservazione riguarda invece il capitolo giovani sul quale si fa un gran parlare. Investire sui giovani è la parola d’ordine… Ma quando poi si va al sodo come fa l’indicatore della Fondazione Visentini la realtà dei fatti racconta un’altra storia: quella di un gap fra generazioni, con spartiacque ai 35 anni, che si amplia di continuo toccando il triplo nel 2030 a svantaggio dei più giovani. Cosa vuol dire questo? Semplice, che resta molto difficile per i giovani affrancarsi dalle famiglie, avere diritti pari nel richiedere i mutui, poter accumulare risparmio. Indipendenza piena, insomma. E questa eventualità rischia di pesare in modo non marginale sul futuro del lavoro e del benessere nel nostro Paese.
Esaltare i primi segnali di miglioramento economico, dunque, è accettabile se viene seguito dalla indicazione di obiettivi e scelte strategiche che invece mancano clamorosamente per ridurre le diseguaglianze e ricreare coesione sociale.
La leva fiscale potrebbe essere uno degli strumenti centrali di questa auspicabile rinascita. Ma anche in questo caso le riflessioni amare non mancano. È stato sottolineato come dagli studi, inascoltati, della Corte dei Conti, si rileva che dai primi anni duemila al 2016 i crediti dello Stato nei confronti dei contribuenti difficilmente esigibili ammontano alla cifra iperbolica di 817 miliardi. Soldi che le casse dello Stato non hanno visto arrivare e probabilmente non possono aspirare ad altro che a… briciole nel prossimo futuro.
Questa inefficienza macroscopica mentre nasconde i contribuenti infedeli, rende chiara la devastante responsabilità di una classe dirigente politica e burocratica che non può essere assolta in alcun modo. E questi limiti, per non dire di peggio, purtroppo fanno pensare che l’Italia reale cerca di reggere e tutto sommato ci riesce, ma chi dovrebbe pensare al futuro non è in grado di farlo, sprecando risorde in lotte politiche risorse di basso profilo. Ecco perché non c’è ancora da essere ottimisti: la crisi della politica tarpa le ali alle migliori intenzioni di utilizzare la ripresa per ridare speranze e cancellare le incertezze. Ma a quanto pare in politica nessuno si vergogna, nessuno cambia strada.