E con un golpe (fallito) nato in un bagno, l’Urss finì

 

-di MAGDA LEKIASHVILI-

In undici tra membri del governo sovietico dell’epoca, dirigenti del Partito Comunista, funzionari del KGB e esponenti delle forze armate furono rinviati a giudizio con l’accusa di aver organizzato il fallito colpo di stato dell’agosto del 1991 contro il presidente sovietico Mikhail Gorbachev.

Il 17 agosto 1991, il capo dell’agenzia per la sicurezza (KGB) Vladimir Kryuchok aveva convocato cinque esponenti di punta dell’establishment sovietico per un incontro segreto. Chiusi nel bagno, per non essere scoperti, Kryuchok svelava ai collaboratori il piano del golpe, che avrebbe dovuto cambiare il futuro dell’Unione Sovietica. Il progetto mirava a rovesciare il governo. Altissima la posta in gioco per il primo ministro, il ministro della difesa e gli altri cospiratori che, preoccupati, ritenevano essenziale agire rapidamente.

La situazione politica in Russia era già critica: il processo di democratizzazione portato avanti attraverso la glasnost e la perestrojka languiva; il nazionalismo minacciava di distruggerlo completamente. Gli stati baltici (Lituania, Estonia e Lettonia) erano già in marcia verso l’indipendenza. Gorbachev stesso aveva proposto un nuovo trattato che avrebbe trasformato l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche in una federazione più libera di stati autonomi, la maggior parte dei quali intendevano voltare le spalle al socialismo di stato. Il trattato era la pietra tombale dell’Urss e del KGB, due “suicidi” che i funzionari sovietici non potevano tollerare.

Il piano del golpe fu messo a punto in fretta. Un gruppo di cospiratori volò in Crimea, dove Gorbachev era in vacanza, con l’obiettivo di costringerlo a rinunciare al trattato o a dimettersi. Nel caso in cui avesse rifiutato l’offerta, gli uomini del KGB lo avrebbero trattenuto per un tempo indefinito nella sua villa sul mare. Gli altri collaboratori sarebbero rimasti a Mosca, pronti a prendere in mano le leve del potere e a usare la forza per affermare la loro autorità se contestati. Fu redatta una lista di 200 persone che sarebbero state immediatamente arrestate, primo fra tutti Boris Yeltsin, allora presidente della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. Addirittura fu fatta svuotare la prigione di Lefortovo a Mosca per l’arrivo dei nuovi prigionieri. Il colpo di stato si rivelò però un fiasco fin dall’inizio. Gorbachev rifiutò di dimettersi e soprattutto di stracciare il trattato.

All’alba del 19 agosto i cittadini russi si svegliarono con la notizia che un comitato di emergenza era stato formato per governare il paese. Del gruppo di golpisti facevano parte, il primo ministro Valentin Pavlov, il ministro degli interni Boris Pugo, il ministro della difesa Dmitry Janaev, il capo della segreteria di Gorbachev, Valerij Boldin e il capo del KGB, Kryuchok. Attraverso i media venne data la comunicazione delle dimissioni di Gorbachev per motivi di salute.

Il dramma si svolse in una piccola area – intorno alla Casa Bianca a Mosca, sede del parlamento russo – e durò pochissimi giorni. La piazza si riempì di persone che protestavano contro il golpe fermando così i mezzi corazzati delle forze armate. I putschisti non riuscirono a realizzare nessuno dei loro obiettivi e non furono neanche capaci di tenere sotto controllo le comunicazioni. Inoltre, dopo il rifiuto dei soldati di sparare sulla folla riunitasi davanti al parlamento, fu chiaro che il Comitato di stato d’emergenza aveva le ore contate. Il loro secondo bersaglio, Boris Yeltsin, rimase libero e l’immagine caratterizzante del colpo di stato fallito rimane quella del leader che si arrampica su un carro armato per denunciare i cospiratori.

Il 21 agosto finì tutto e il giorno dopo Gorbachev venne liberato. In questo modo finiva anche la storia dell’Unione Sovietica, formalizzata alcuni mesi dopo il golpe. Il 25 dicembre 1991 Gorbachev rassegnò le proprie dimissioni da presidente dell’Urss e il giorno seguente l’Unione Sovietica venne sciolta ufficialmente dal Soviet Supremo.

magdalekiashvili

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