–di VALENTINA BOMBARDIERI-
Quattordici vittime e 126 feriti, 75 dei quali ancora ricoverati in ospedale. Il bilancio dell’attentato dell’altro ieri a Barcellona. Bruno Gulotta, un ragazzo di 35 anni di Legnano, Luca Russo, 25 anni di Bassano del Grappa e Carmen Lopardo, 80 anni, da più di 60 residente in Argentina, originaria della provincia di Potenza. Una strage di turisti che ha coinvolto 34 diverse nazionalità, francesi, tedeschi, britannici, belgi, cubani e cinesi. E, ovviamente, italiani.
Un furgone bianco ha seminato il terrore nel cuore di un’Europa amata dai turisti, una delle mete predilette nell’estate delle vacanze. Vacanze che diventano lutti. Come un anno fa, a Nizza. Un Tir, allora, un furgone oggi. Lanciati contro la folla come una bomba. Le ramblas sono parte della nostra vita di cittadini europei. In tanti le hanno percorse, in tanti le percorreranno ancora. Il più delle volte turisti ammaliati dalla magia di una città che vive nelle sue strade, abituata a convivere con il genio architettonico visionario di Gaudì. Anche Bruno, Luca e Carmen lo avevano scoperto o riscoperto, davati alla Sagrada Familia o a “La Pedrera”; partendo da Plaça de Catalunya. Si saranno immersi nel cuore di una città che rivendica la sua “diversità”, una “diversità” che negli anni del franchismo era anche un grido orgoglioso di libertà, impossibile da ridurre al silenzio. Una città imponente e meravigliosa, che in un museo come quello di Picasso racchiude il suo straordinario amore per l’arte. Quel maledetto 17 agosto ognuno di noi si sarebbe potuto trovare su quella via. Ognuno di noi sarebbe potuto essere nel mercato allegro e colorato della Bouqueria.
Luoghi di divertimento, di svago, di vacanza. Popolati da giovani e adulti. Luoghi colpiti da giovanissimi che nel loro conflitto con una modernità che li attrae ma dalla quale, al tempo stesso, si sentono respinti ed emarginati, interpretano il futuro come una palingenesi di sangue. Giovani che attraverso l’ improbabile riferimento a una “guerra di religione” che al momento nessuno ha dichiarato (se non il califfo autoproclamato di uno “stato” senza confini, senza riconoscimenti politici e diplomatici e, ormai, sempre più senza terra né una capitale), provano a dare “nobiltà” a rancori figli di una vita vissuta al di sotto delle attese o lontano dalle attese.
Non combattiamo una guerra, difendiamo uno stile di vita che spesso, nella storia recente, è stato attaccato da fondamentalismi di vario tipo. Non dobbiamo e non possiamo rinunciare a essere ciò che siamo, a considerare la società aperta una conquista di civiltà, contro qualsiasi forma di arroccamento, di ritorno al passato, di oscurantismo. Urlare “io non ho paura”, così come hanno fatto gli spagnoli a Plaça de Catalunya, è la risposta più bella e forte che possiamo dare a chi pensa di poterci rubare il nostro sogno cosmopolita e con esso anche la ragione.