Legge elettorale: galli che si beccano e fenomeni che fanno Tarzan

 

-di ANTONIO MAGLIE-

Pur sollecitati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (oltre che dal buon senso e da un evidentemente sconosciuto spirito della decenza), l’universo parlamentare italiano fatica a mettere in piedi una legge elettorale credibile acuendo, se ce ne fosse bisogno, il disinteresse della società civile nei confronti della politica. A questo suicidio collettivo di una classe dirigente (?) partecipano tutti, vecchi e nuovissimi “maestri”. E, d’altro canto, perché mai quello che non è stato fatto in tanti anni (o che, al contrario, è stato disfatto come dimostrano gli interventi della Corte Costituzionale) dovrebbe essere realizzato in poche settimane? Si consolida l’impressione di vivere in un Paese che viaggia per forza di inerzia, senza una guida credibile, senza un programma di viaggio chiaro e intellegibile, senza l’indicazione di un approdo da raggiungere, senza la definizione dei tempi necessari per raggiungerlo. Diciamolo con chiarezza: al fallimento della vecchia politica autoreferenziale e schiacciata sull’esclusiva gestione del potere, si aggiunge l’incapacità della nuova politica interessata solo a mescolare le tante rabbie in un vitaminico frullato ma totalmente impreparata a costruire una seria e credibile proposta (e di conseguenza, azione) di governo.

La politica italiana sembra un gran pollaio. La legge elettorale poteva essere per tutti una occasione di riscatto: avrebbero per una volta potuto dimostrare che il loro orizzonte non si limita a Piazza Montecitorio ma riesce ad andare anche oltre per abbracciare l’Italia con le sue tante periferie (ormai, dati alla mano, siamo la periferia dell’Europa). Ma non è andata così e pur confidando ottimisticamente in un momento di benefica resipiscenza, c’è da dubitare fortemente che qualcosa del genere potrà avvenire nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Certo, la legge elettorale non è il problema dei problemi dell’Italia, ma non riuscire a costruire una regola dignitosa riguardo al momento primario della democrazia, quello in cui il Popolo (così tanto evocato dai nuovi “guru” della democrazia diretta) esprime la sua sovranità, è per la democrazia un’offesa e un motivo di debolezza, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista della sua futura credibilità e solidità. Gli Eletti del Popolo (che non sono unti dal Signore come pure qualcuno tra di loro un tempo si qualificava) dimenticando un dettaglio della Costituzione (ognuno di loro rappresenta tutti noi non gli interessi propri, del partito o del suo Capo), dovrebbero avvertire in maniera pressante la necessità di difendere quella democrazia che è fonte stessa della loro presenza in quei luoghi istituzionali. Ma, evidentemente, tutto questo non li tocca.

Il fatto è che per fare una buona legge elettorale bisognerebbe avere la capacità di guardare oltre il proprio orticello, il “particulare”. Ma questo “sguardo lungo” è proprio di partiti che si rispettano, che si legittimano reciprocamente, che non pensano che un negoziato debba essere la versione furba di un agguato. I partiti che alla fine della guerra ci diedero la Costituzione e con essa la legge elettorale più longeva, erano profondamente divisi da un punto di vista ideale e ideologico ma vedendo per strada le macerie avevano chiaro in mente l’obiettivo: la ricostruzione materiale, morale, istituzionale dell’Italia. Le macerie ora non si vedono ma ci sono. Quel che manca è il livello critico e autocritico della forze politiche, la consapevolezza di una missione che non è semplicemente quella di occupare più o meno rumorosamente gli scranni parlamentari evocando la dannazione eterna per gli avversari accusati di tutte le turpitudini e la santificazione senza verifica dei meriti per se stessi. E così lentamente il Paese procede nella sua caduta, tra galli che si beccano e “fenomeni” che promettono, sordianamente, di farci Tarzan.

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