Lo scorso 31 maggio è stato firmato a Roma fra CGIL, CISL, UIL e Confindustria il cosiddetto accordo sulla rappresentanza. La Camusso ha subito parlato di accordo storico, che mette fine ad una lunga stagione di divisioni. Anche Squinzi ha espresso lo stesso giudizio, aggiungendo che l’intesa consentirà contratti nazionali pienamente esigibili. Con maggior prudenza si è espresso Angeletti, che ha evidenziato la capacità delle parti sociali di autoregolarsi, sottoscrivendo un accordo che regolerà i rapporti sindacali con maggiore trasparenza. Secondo il leader UIL, si tratta però solo di un primo passo verso la riduzione della disoccupazione. Un accordo giudicato storico perché attua, nel settore privato, l’ultimo comma dell’articolo 39 della Costituzione che stabilisce che i sindacati, rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, possano stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Ma cosa prevede l’accordo raggiunto a fine maggio? In estrema sintesi prevede che un’organizzazione sindacale per poter sedere al tavolo della contrattazione collettiva nazionale debba avere una rappresentatività minima del 5%. Questa percentuale viene calcolata come media fra la percentuale degli iscritti a quel sindacato, rispetto agli iscritti a tutti i sindacati, e la percentuale dei voti ottenuti nell’elezione delle rappresentanze sindacali unitarie, rispetto al totale dei voti espressi dai lavoratori.
Ricordiamo che le rappresentanze sindacali unitarie sono organismi sindacali che esistono sui luoghi di lavoro e sono eletti sia dagli iscritti al sindacato che dai non iscritti. Per poter essere legittimate devono essere elette da almeno la metà più uno dei lavoratori e durano in carica tre anni.
Dunque, per poter essere ammessi alle contrattazioni a livello nazionale i sindacati devono rappresentare almeno il 5% tra iscritti ai sindacati e voti ottenuti nelle RSU.
Una volta sedutisi al tavolo i sindacati negoziano ed auspicabilmente arrivano ad una bozza di accordo con la parte datoriale, ad esempio riguardante il rinnovo del contratto nazionale di una determinata categoria di lavoratori. L’accordo è però valido se viene sottoscritto da organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% più uno della rappresentanza sindacale e se ottiene il voto favorevole della maggioranza dei lavoratori. Solo in tal caso l’accordo diventa efficace ed esigibile e le parti sociali si impegnano a farlo rispettare da parte dei lavoratori ed a non promuovere iniziative di contrasto contro allo stesso.
Sarà però quell’accordo davvero espressione della volontà di un’ampia fetta di lavoratori? Diceva qualcuno che il diavolo è nei dettagli. Va infatti innanzitutto ricordato che in Italia gli iscritti al sindacato sono poco più di un terzo dei lavoratori attivi, con precisione sono il 35,1% (dati 2010 ICTWSS). Quindi la prima gamba della rappresentatività perde di significatività visto che il 5% del 35% è uno scarso 1,75% dei lavoratori attivi. Ma, si obietterà, è proprio per questa ragione che, per poter raggiungere il 5% necessario a sedere al tavolo, tale dato vada mediato con i voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze sindacali unitarie, che implicano la partecipazione di una fetta più ampia di lavoratori. Inoltre si obietterà che comunque, per poter essere valido, l’accordo tra organizzazioni sindacali e Confindustria necessita dell’approvazione della maggioranza dei lavoratori.
Ed è proprio su questo aspetto che bisogna essere vigili. Affinché vi sia piena democraticità, da un lato occorre che il voto dei lavoratori su una bozza di accordo fra sindacati ed associazioni datoriali, che ha conseguenze sulla vita di centinaia di migliaia di lavoratori, non sia più espresso per alzata di mano. Il voto deve essere raccolto su base certificata, con modalità che davvero assicurino il coinvolgimento di tutti i lavoratori, la segretezza del voto e la trasparenza dei dati su affluenza e partecipazione al voto. Dall’altro occorre che i lavoratori si iscrivano al sindacato, perché in tal modo contribuiranno ad aumentarne la rappresentatività, oltre che orientarne le posizioni.
Solo così si potrà davvero parlare di un passo avanti nella rappresentanza sindacale dei lavoratori.
Alfonso Siano