Maria Anna Lerario- Immaginate una riunione di giovani, in un’isola della Norvegia. Giovani socialisti di tutto il mondo, riuniti in campeggio estivo. Musica, allegria, lunghe chiacchierate sui massimi sistemi. Progetti sul sociale. Sulla politica. Passati da ricordare, futuro da costruire.
Tutto ciò accadeva 11 anni fa, nell’isola di Utøya.
Un’atmosfera serena, ricca di entusiasmi e quell’allegria giovane e contagiosa tipica di quell’età.
Una pace letteralmente spazzata via di colpo da Anders Behring Breivik, un folle omicida che ha ucciso, uno a uno, 69 di quei ragazzi. 110 sono rimasti feriti. Gli altri, traumatizzati per sempre. Nelle stesse ore, a Oslo, un’autobomba ha ucciso 8 persone e ne ha ferite 209. Una strage.
Vestito da poliziotto, Breivik ha sparato spietatamente contro quei giovani, con l’obiettivo di “distruggere il Partito Laburista alla radice”. Un atto mosso da odio neonazista “per fermare una decostruzione della cultura norvegese per via dell’immigrazione in massa dei musulmani”, come dirà poi lo stesso Breivik, nel corso del processo.
Troppo velocemente dimenticata, quella strage, è stata un colpo al cuore della tranquilla Norvegia, storicamente nei primi posti delle classifiche europee per le sue politiche progressiste, con un sistema dei redditi equo, una forte attenzione ai problemi sociali e con una diffusa cultura politica che coinvolge e appassiona tutti. Grandi e piccini.
La si potrebbe chiamare “la strage dimenticata”.
A distanza di 11 anni, quasi nessuno ricorda quei fatti che non sono arrivati a colpire l’opinione pubblica italiana ed europea in generale, tanto quanto altri attentati e stragi efferate, che purtroppo, nel tempo abbiamo vissuto.
Eppure 69 giovani ragazzi sono stati trucidati, perché socialisti, solidali, protagonisti della vita politica. Uccisi, in sostanza, per le idee che rappresentavano e che volevano far crescere.
Un ritornello di intolleranza e di violenza che l’Europa conosce fin troppo bene. Ed è bene non girarsi dall’altra parte.
Neanche dopo undici, lunghi, anni.
Ricordare quei sessantanove ragazzi è importante. Non per retorica, ma perché sono stati e restano un simbolo della pericolosità di un’insofferenza malata e latente, che può esplodere. Da un momento all’altro.
La ricostruzioni dei fatti e di tutto ciò che c’è dietro a questa “strage dimenticata” la si può ritrovare nel bellissimo libro di Luca Mariani “Silenzio sugli innocenti”. Un splendida inchiesta giornalistica che fa luce sugli eventi.
Xenofobia, nazionalismo, razzismo, sono l’humus nel quale crescono semi malati, che attecchiscono facilmente, facendo ombra o danneggiando i fiori più belli e importanti della società: i giovani, le loro idee, i loro progetti. Ammalando tutto ciò che c’è attorno.
Questo è ciò che è accaduto a Utøya. Un neonazista ha ucciso 69 ragazzi. Per le idee socialiste e progressiste che volevano proiettare nel futuro, con il desiderio di fare di più. Meglio non dimenticarli più.
N°54 del 22/07/2022
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