Bettino Craxi e il sindacato

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

 A 18 anni dalla scomparsa di Bettino Craxi, statista e leader socialista, finalmente comincia a prendere corpo una valutazione più serena dei grandi meriti dello statista e leader socialista.

Tale consapevolezza non deve essere riservata, però, solo ad alcune delle opere fondamentali di Craxi: il risanamento e il rilancio dell’economia nazionale negli anni ’80 del ‘900, con l’Italia 5° potenza industriale al mondo; la difesa dei valori nazionali nelle notte di Sigonella; il Concordato; l’impegno umanitario per salvare Aldo Moro; l’elaborazione di un moderno socialismo liberale, nel solco della tradizione riformista, contrapposto all’interpretazione dogmatica leninista di Marx, per il rinnovamento della sinistra in Italia. Si deve ricordare anche il sostegno al sindacalismo.

In genere il nome dello statista e leader del Psi è associato ad un provvedimento di rottura dell’unità sindacale: il decreto di San Valentino, con cui il 14 febbraio 1984 il primo (e unico!) governo a guida socialista della Repubblica, tagliò la scala mobile, innescando un processo, politico, sociale ed economico, virtuoso, al termine del quale si registrò la sconfitta del massimalismo sindacale e del potere di veto del partito comunista, anche a seguito del referendum sulla scala mobile, l’abbattimento dell’inflazione, lo sviluppo e l’internazionalizzazione della nostra economia, il consolidamento dello Stato sociale.

Craxi era portatore dei valori di un riformismo saldamente legato alle istituzioni delle classi lavoratrici (il sindacato, il movimento cooperativo, le organizzazioni mutualistiche e professionali) tanto ricche e diffuse nella Milano erede di Filippo Turati e nell’Europa uscita dalla seconda guerra mondiale, che sarà governata a lungo dai partiti socialdemocratici e laburisti. L’azione collettiva di queste istituzioni sociali doveva costituire uno degli elementi fondamentali secondo Craxi, dell’iniziativa riformista del partito, ispirata al gradualismo nella risoluzione dei problemi del mondo del lavoro e dei ceti più deboli, al miglioramento delle loro condizioni di lavoro e di vita, all’introduzione di forme di democrazia economica ed industriale, attraverso una sintesi tra principi e ideali e il necessario pragmatismo dettato dalla contingenza politica.

Per questo Craxi sostenne sempre i valori dell’unità sindacale e dell’autonomia contro il principio della “cinghia di trasmissione” dal partito alle organizzazioni dei lavoratori, teorizzato da Lenin e fatto proprio dalla III Internazionale comunista. Coerentemente il leader socialista non coltivò l’idea del “sindacato socialista”, da realizzare attraverso la confluenza dei socialisti presenti nelle tre confederazioni, né quella del “sindacato democratico” da contrapporre ad una Cgil dogmatica e settaria, esclusivamente comunista sul modello della Cgt francese.

Al contrario egli sostenne sempre l’autonoma presenza socialista nelle tre confederazioni al servizio dell’unità, valorizzando anche il dialogo con tutti i dirigenti riformisti del sindacalismo italiano.

E così sostenne l’ascesa di Giorgio Benvenuto alla guida della Uil, che divenne il simbolo stesso del riformismo socialista nel sindacato e dell’autonomia sindacale, vero erede di Bruno Buozzi, dall’egemonia tentata dal Pci sui lavoratori italiani (e che fu proprio il successore di Craxi alla guida del Psi nel 1993, in un generoso tentativo di salvare il partito), il riscatto della componente socialista della Cgil dalla subalternità nei confronti della maggioranza comunista della Confederazione, ma pure il dialogo con Pierre Carniti, che in alcuni frangenti della sua leadership diede alla Cisl un’ispirazione fondata su di un socialismo cristiano (sul modello di quella “ipotesi socialista”, che sembrò emergere nella cultura delle Acli di Livio Labor, dopo la svolta di Vallombrosa del 1970) ed autogestionario non dissimile a quello della Cfdt in Francia che come è noto sostenne l’”alternativa socialista” di Mitterand, e con Luciano Lama, il leader comunista della Cgil che non poté firmare il grande accordo contro l’inflazione nel febbraio del 1984 a causa del veto di Berlinguer e del partito comunista.

E la testimonianza più vera della grande attenzione di Craxi per le vicende sindacali è data da una circostanza: dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989, a fronte di una fase di crisi dell’azione sindacale, ritenne di recarsi ad incontrare i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil nelle loro sedi, per manifestare l’appoggio dei socialisti ai temi del mondo del lavoro e l’esigenza di una svolta riformista di tutte e tre le confederazioni.

Un’attenzione verso i temi sindacali che in Craxi non venne mai meno, neppure negli anni dell’esilio. Un’eredità politica importante, per un sindacalismo italiano in profonda crisi di ruolo e di identità.

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