-di MAURIZIO BALLISTRERI-
Il Mezzogiorno continua a scontare la sua storica arretratezza nei confronti del resto del paese, per i guasti prodotti dal processo unitario, su cui hanno pesato in forma prevalente (se non esclusiva!) gli interessi del Nord, ma anche per una classe dirigente meridionale in larga parte incapace di esprimere cultura di governo, che ha alimentato clientele e parassitismi e una gestione del potere slegata da valori e programmi.
Come superare questa la ormai antica condizione di sottosviluppo del Sud, in cui la Sicilia ha, purtroppo, un triste primato, secondo i recenti dati della Svimez? Tra le idee e le proposte circola quella della Macroregione del Sud, un’ipotesi concreta del nuovo meridionalismo democratico, nell’ambito di un federalismo solidale in un’Europa dei Popoli.
Infatti, ciò che manca al Sud è il suo essere “soggetto”, presentandosi, invece, diviso: nella conferenza Stato-Regioni il Mezzogiorno ha quasi sempre avuto la peggio nello scontro di interessi per la distribuzione delle risorse (è il caso della sanità) in quanto le Regioni del Sud quasi mai hanno espresso un comune sentire, una comune visione, un’unica posizione”.
Proviamo a immaginare a una macroregione meridionale e il quadro però, cambia in modo radicale. Se l’economia del Sud non fosse frantumata in sei o sette regioni e fosse integrata, avrebbe un Pil superiore a quello della Lombardia, che è fra le cinque regioni con il prodotto interno lordo più elevato d’Europa. E sarebbe equiparabile, o in alcuni casi addirittura superiore, a quello di molti Stati europei di media grandezza, come Danimarca, Svezia, Belgio, Austria, Irlanda e Portogallo.
L’integrazione, economica ma non istituzionale, considerando la specialità siciliana, a partire dai fondi europei e dalla sinergia tra gli investimenti previsti nel recente cosiddetto “Masterplan per il Sud”, delle attuali regioni del Mezzogiorno, trasformerebbe il Sud da entità subalterna a soggetto protagonista, creando valorizzazioni strategiche ed economie di scala in materia di investimenti sulle infrastrutture materiali e immateriali: tre esempi l’alta velocità e la banda larga in tutto il Meridione, un grande hub portuale internazionale, il Ponte sullo Stretto. Proprio la spesa dei fondi europei con un’unitaria strategia di sviluppo, costituirebbe l’elemento di unificazione degli interessi delle regioni meridionali: i 96 miliardi tra fondi europei e nazionali che il Sud deve spendere entro il 2023 per nuove infrastrutture, necessitano di progetti infrastrutturali interregionali, che solo la Macroregione del Sud può programmare e realizzare”.
Finirebbero così, le rivendicazioni specifiche, togliendo ai cacicchi locali la gestione senza controllo delle risorse.
L’unificazione, in termini di integrazione economica, del Mezzogiorno in una macroregione è un’idea forte e innovatrice, in grado di tenere in equilibrio le esigenze di aree economiche vaste per competere nei sistemi globali e la salvaguardia delle identità storico-culturali.
Attenzione, però! Circolano sulla Macroregione del Sud iniziative demagogiche quanto irrealistiche, financo con disegni di legge costituzionale: sul Mezzogiorno non è consentito ancora giocare, i giovani costretti ad emigrare, i pensionati al minimo, i disoccupati, le famiglie e le imprese devastate dall’austerity europea sono stanchi!