Non passa il “pasticcellum”, la riforma elettorale oligarchica

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

Dopo la disastrosa sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale dello scorso 4 dicembre e il letargo politico durante il governo Gentiloni, Renzi era tornato al proscenio con la nuova legge elettorale, che da più parti era stata definita “alla tedesca”. In realtà, la legge naufragata sugli scogli del voto segreto e di leaders politici che giocano ai quattro cantoni, aveva ben poco del “modello tedesco”.

Il sistema elettorale tedesco prevede l’elezione dei rappresentanti in una sola camera, il Bundestag. Il Senato, o Bundesrat, infatti, è espressione dei governi territoriali (la Germania infatti, è una Repubblica federale, con i Land dotati di una sorta di “semi-sovranità”, ben diversi, quindi, dalle regioni in Italia). Si possono esprimere due voti, il primo nominale. Esistono 299 circoscrizioni in Germania e questo significa che con il primo voto gli elettori possono dare una preferenza a una persona, eleggendo così un “Direktkandidat”. Si tratta di un mandato diretto, che pone in un rapporto diretto chi viene eletto con la propria circoscrizione.

Un esempio concreto per capirsi: Berlino ha 12 circoscrizioni, quindi possono essere eletti 12 deputati con il primo voto, in rappresentanza dei vari partiti che concorrono. Si tratta quindi, di una componente uninominale molto significativa, attraverso cui vengono eletti circa la metà dei deputati.

Il secondo voto viene dato ai partiti che presentano per ogni Land una lista di candidati. Si tratta di un listino bloccato: sono i singoli partiti che attraverso una selezione democratica interna, individuano le liste con alternanza di genere e seguendo una procedura assai prescrittiva, che si conclude con il voto dell’Assemblea nazionale per ogni Land.

Il numero attuale dei membri al Bundestag è di 630, ma può variare per effetto della ridistribuzione secondo il metodo proporzionale dei seggi: i partiti che non raggiungono il 5%, infatti, sono esclusi, e i seggi vengono computati in ordine a quelli rimanenti, dando luogo ad un numero di parlamentari variabile per legislatura. Bene. Era questo il sistema previsto dalla legge affondata alla Camera?

Proprio no, e il richiamo al “modello tedesco” altro non era che espressione di “post-verità”, una cortina fumogena per varare, attraverso l’accordo dei “proprietari” degli attuali “similpartiti”, una nuova legge elettorale sulla scia di quelle che hanno segnato la disastrosa seconda Repubblica: dal Mattarellum al Porcellum sino al tentato “Italicum” e al vigente “Consultellum”, frutto dell’intervento della Corte costituzionale.

La mancata riforma elettorale, confusa e inadeguata, una sorta di “Pasticcellum” (per proseguire con il “latinorum”…), avrebbe ulteriormente trasformato la nostra democrazia in oligarchia, giù abbondantemente vulnerata dall’imposizione di scelte di organismi tecnocratici internazionali, fondata sul principio di sovranità popolare che si esplica in primo luogo sul diritto dei cittadini di scegliersi i rappresentanti in Parlamento, in una moderna oligarchia.

Postdemocrazia” è il titolo di un libro di Crouch del 2003, in cui l’autorevole sociologo e politologo, già docente alla London School of Economics, ha elaborato una rigorosa analisi sul declino dei sistemi liberaldemocratici e la loro trasformazione in forme oligarchiche: “Mentre le forme della democrazia rimangono pienamente in vigore e oggi in qualche misura sono anche rafforzate, la politica e i governi cedono progressivamente terreno cadendo in mano alle élite privilegiate, come accadeva tipicamente prima dell’avvento della fase democratica”.

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