Perché faceva (e fa ancora) paura la Germania unita di Kohl

-di GIULIA CLARIZIA-

Helmut Kohl, protagonista della storia della Germania e dell’Europa, si è spento ieri all’età di ottantasette anni. Sebbene aiutato dalle convergenze della storia, Kohl è riuscito a realizzare tramite un’abile politica diplomatica quello che era stato l’obiettivo di tutti i cancellieri della Repubblica Federale di Germania dalla sua nascita nel 1949, la riunificazione.

La ferita di un paese diviso in due, infatti, continuava a sanguinare nel centro dell’Europa, simbolo della divisione bipolare della guerra fredda. Dalla Westpolitik di Adenauer alla Ostpolitik di Brandt, vari sono stati gli approcci da parte dei tedeschi occidentali per ritrovare i loro fratelli gemelli.

Ampio fu il dibattito tra chi rifiutava di interloquire con i sovietici della Repubblica Democratica e chi invece voleva ottenere l’unificazione tramite l’apertura al dialogo. Se la politica di Adenauer fallì con la crisi di Berlino e la costruzione del muro, neanche la politica di apertura portata avanti da Brandt nei primi anni ’70 fu efficace, nonostante il riavvicinamento delle due Germanie che nel 1973 si riconobbero reciprocamente e furono ammesse nelle Nazioni Unite. I tempi infatti non erano maturi. La superpotenza sovietica non era ancora arrivata allo stremo e probabilmente mai avrebbe ceduto il passo su un territorio chiave come la Germania Est, se questo non fosse stato inevitabile. Non a caso, il crollo del muro di Berlino viene identificato come simbolo della fine della guerra fredda ancora più della stessa disgregazione dell’Unione Sovietica.

Kohl leader della CDU e cancelliere dal 1982, si trovò nella posizione giusta e al momento giusto per agire, e lo fece senza tentennamenti. Egli capì infatti che bisognava fare pressioni sulla debole Unione Sovietica degli ultimi anni ’80 per convincerla ad accettare una Germania unita (e parte della NATO). Ma non solo. Egli era ben consapevole del fatto che le potenze occidentali uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale avevano ancora dei diritti sulla Germania, e dunque ottenere il loro appoggio era fondamentale. Se gli Stati Uniti con Bush erano cautamente favorevoli alla riunificazione, non si può dire la stessa cosa degli alleati europei, e in particolare della Gran Bretagna della Thatcher e della Francia di Mitterrand, che arrivarono praticamente a sperare in un intervento sovietico per fermarla. Il timore dello strapotere della Germania e del Marco tedesco, che già aveva influenza sottobanco nell’Europa dell’est, faceva riemergere antiche tensioni.

Quando il muro di Berlino crollò sotto le picconate dei cittadini in festa, Kohl elaborò e presentò al Bundenstag un programma in 10 punti per la realizzazione di una confederazione tedesca. Infatti Kohl riteneva che fosse necessario cavalcare l’onda del momento, approfittare del supporto che aveva da parte della popolazione in entrambe le Germanie (confermata con le elezioni del marzo 1990) e il vantaggio sull’Unione Sovietica di Gorbaciov che si trovava senza dubbio a dover affrontare una situazione economicamente e politicamente complicata. Sebbene egli stesso in uno dei punti mise in stretta relazione l’unificazione tedesca e il processo di integrazione europea, i leader dei paesi allora membri della CEE furono colpiti dalla piega tempestiva che la situazione tedesca stava prendendo. La famosa gaffe di Andreotti, che nel 1984 disse “Amo talmente tanto la Germania che ne voglio due”, non era poi così lontana dal reale clima europeo. Infatti, se parlare di retorico sostegno all’autodeterminazione tedesca era facile, i termini di un eventuale riunificazione sarebbero stati, e furono, molto più complessi.

L’articolata trattativa diplomatica intrapresa da Kohl con le due superpotenze, i partner europei e la stessa DDR spaziava dalle criticate decisioni sui rapporti economici tra le due Germanie alla futura posizione della Germania nella NATO e il suo equilibrio con il Patto di Varsavia. Incontri chiave furono quello con Bush nel dicembre 1989 a Malta, con Gorbaciov nel Caucaso nell’estate 1990, con Mitterrand per trovare il compromesso europeo che avrebbe condotto all’Euro.

Kohl ieri ha lasciato questo mondo, ma le questioni che si sono aperte sotto la sua vita politica sono ancora aperte, soprattutto all’interno del dibattito europeo. La complessità politica e diplomatica in questi mesi non era casuale. Si aveva la consapevolezza che le decisioni portate avanti avrebbe avuto conseguenze di vasta portata, e le hanno avute. Oggi le critiche all’euro e all’Europa “a guida tedesca”, con la crisi economica e politica che stiamo vivendo, non potrebbero essere più attuali. È importante essere consapevoli che i parametri monetari dell’eurozona, spesso attaccati, vengono da quel compromesso di circa venti anni fa, in cui le ragioni economiche erano inestricabilmente legate a quelle politiche.

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