-di ANTONIO MAGLIE-
La realtà ha veramente mille facce. I volti della politica, poi, non si riescono nemmeno a contare: si moltiplicano con il trascorrere dei minuti anche se poi, nella maggior parte hanno tutti un solo, inequivocabile colore, il bronzo. Qualche giorno fa dalla Germania è arrivata la notizia che il tasso di disoccupazione all’interno della repubblica federale è sceso al 5,8 per cento. Un nuovo record rispetto a quello segnato il mese prima quando ci si era fermati al 5,9. In sostanza da quelle parti per trovare tassi di disoccupazione più bassi bisogna tornare con la mente (e le statistiche) al periodo precedente all’unificazione, cioè oltre un quarto di secolo fa.
Cambio di panorama e sguardo sulla nostra piccola Italia. Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio piuttosto evanescente, twitta felice: “Cala la disoccupazione, anche tra i giovani. L’impegno per le riforme ottiene risultati. E continua”. I treni dell’Istat bisogna prenderli in corsa anche perché non si può essere sicuri di quel che certificheranno al prossimo passaggio. E il premier non vedeva l’ora di poter festeggiare un successo. La nostra disoccupazione cala. Ora siamo all’11,5 per cento (meno 0,3) e quella giovanile è arretrata ai livelli precedenti (udite, udite) al 2012, cioè siamo al 35,2 per cento che tradotto vuol dire che oltre un terzo dei giovani italiani la mattina si alza e sbatte la testa contro il muro non avendo a disposizione una occasione per sbarcare il lunario.
E se Gentiloni è felice, il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, è addirittura euforico e tra una partita di calcetto e un’altra, spiega: “Complessivamente, da febbraio 2014 cresce di 716mila unità il numero degli occupati, 478mila dei quali sono lavoratori stabili (per quanto ancora?). Positiva anche la dinamica relativa ai disoccupati, che diminuiscono complessivamente di 290mila unità, con un calo di 8,1 punti percentuali del tasso di disoccupazione giovanile”. A parte il fatto che per essere un po’ seri su queste cose, bisognerebbe dire anche quanti posti di lavoro erano stati persi prima: solo in questa maniera tutti potrebbero capire, al di là delle fanfare, la lunghezza del tratto di strada percorso.
Ma forse è meglio restare sul generico. Perché se poi si va sul particolare, qualche indicazione la offre l’Istat medesima che ci dice che il miglioramento del famoso tasso generale non è legato a un aumento degli occupati (come in Germania: più trentamila) ma semplicemente alla decisione presa da molti di non sprecare più tempo a cercare lavoro nella rassegnata consapevolezza che nessuno te lo darà. E un altro dettaglio non irrilevante lo svela Eurostat, cioè l’istituto di statistica europeo che ci avverte che continuiamo a essere in questo dolente treno uno dei vagoni di coda, quelli che molti decenni fa si indicavano come “terza fumatori”. E il motivo è semplicissimo: il tasso di disoccupazione che rende felice Gentiloni è due punti sopra a quello europeo che non è proprio bassissimo (9,5). Comprendiamo la soddisfazione di Gentiloni (in fondo ne ha avute così poche) e la fiducia nelle riforme (quali?) che stanno dando dei bei frutti. Ma forse l’euforia sarebbe meglio riservarla per momenti un po’ più felici.