Un nuovo articolo 18 alla tedesca

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-ANTONIO TEDESCO-

 
Il tema dei licenziamenti individuali nei luoghi di lavoro  genera, a corrente alterna, un acceso dibattito, soprattutto intorno all’ex articolo 18.

Un recente e autorevole articolo di Michele Salvati e Marco Leonardi (Corriere della Sera 7-09-2014) riapre il dibattito su un tema più volte avanzato dalla Fondazione Nenni.

Nell’articolo si propone un Jobs act alla tedesca: «L’Italia-scrivono Salvati e Leonardi- può però diventare come la Germania e ci manca poco a raggiungere l’obiettivo: già la riforma Fornero aveva preso quel Paese come esempio e gran parte del percorso di avvicinamento è stato fatto. Anche in Italia è oggi obbligatorio un tentativo di conciliazione di fronte al giudice prima di andare in tribunale e la reintegrazione del lavoratore non è più necessaria in caso di licenziamento ingiustificato: nella maggioranza dei casi basta una indennità monetaria. La conciliazione obbligatoria funziona e più del 50% dei casi non arriva in tribunale, come in Germania. Nei casi che arrivano in giudizio, per la metà vincono i lavoratori e solo in pochi casi più gravi c’è la reintegrazione».

Cosa manca dunque a imitare la Germania?

Per Salvati e Leonardi si deve in primo luogo ridurre l’incertezza del giudizio: «perché in Germania, di fatto, l’incertezza è poca, i sindacati sono collaborativi e i giudici normalmente prendono per buone le motivazioni dell’imprenditore… – in secondo luogo -, «per fare come la Germania», è necessario ridurre l’indennità di licenziamento per i lavoratori con poca anzianità di servizio(oggi in Italia l’indennità per il licenziamento è tra i 12 e i 24 mesi di salario indipendentemente dall’anzianità di servizio).

La tesi sostenuta dai due Professori è in linea con le posizioni di  Renzi che ha più volte dichiarato che il modello di riferimento è la Germania.

Negli ultimi anni in Italia si è invocato spesso il modello tedesco, con riferimento esclusivamente  alla specifica questione dei licenziamenti e delle eventuali reintegrazioni sul posto di lavoro. Il modello tedesco invece andrebbe approfondito nel suo insieme.

Dai risultati di alcune ricerche della Fondazione Nenni illustrati dal Presidente Giuseppe Tamburrano durante il Convegno “I Poteri de lavoratori, Italia-Germania due modelli a confronto”, (organizzato dalla Fondazione Nenni, dalla Fondazione Ebert e dalla UIL) è emerso che il tema del mercato del lavoro è strettamente collegato con quello della rappresentanza sindacale.

Il Presidente della Fondazione Nenni ha avanzato alcune proposte ai leader del Sindacato italiano e ad alcuni esponenti del Governo, provando a sostenere un nuovo approccio per favorire  la nascita di un  modello di relazioni sindacali basate sulla cooperazione, sul dialogo, sulla condivisione degli obiettivi, sulla partecipazione democratica dei lavoratori.

Per raggiungere questo obiettivo è necessario  implementare, rispetto all’attuale RSU, le funzioni della rappresentanza sindacale con un cospicuo aumento di partecipazione democratica dei lavoratori.

La Fondazione Nenni propone – nelle imprese con più di 15 dipendenti – la costituzione di una Commissione ad hoc (che potremmo chiamare “Commissione per la codeterminazione”) che interviene in caso di licenziamenti individuali, sanzioni, trasferimenti interni e organizzazione del lavoro. La commissione si comporterebbe come un “Consiglio dei probiviri”. Una commissione paritetica composta da rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori fuori dalle sigle sindacali e da rappresentanti dei datori di lavoro. L’approccio favorirebbe l’idea di risoluzione delle controversie nel luogo stesso in cui insorgono: all’interno della commissione si tenterebbe la conciliazione preventiva.  Un consiglio che prende decisioni rapide che le parti, però, possono impugnare dinanzi ad un arbitro. Il giudizio arbitrale (il lodo) è inoppugnabile nel merito e può essere impugnato davanti al giudice per motivi di procedura e per violazione di legge o perché il licenziamento è discriminatorio nei casi previsti dalla legge vigente.

Gli strumenti di risoluzione alternativa e preventiva promuovono una nuova cultura del “dialogo sociale”. La conflittualità che può scaturire dal recesso del rapporto di lavoro nuoce in primo luogo alla produttività del sistema poiché crea tensioni che si possono ripercuotere sulle relazioni aziendali e genera costi elevati per entrambe le parti coinvolte. Il sistema della “cogestione” è un modello efficace non solo per la risoluzione delle controversie in materia di licenziamenti ma soprattutto come un sistema capace di incidere nelle performance aziendali e nel benessere dei lavoratori.

È utile, infine, citare l’art. 46 della costituzione italiana:“Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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