“Dalla società aperta alla società chiusa”: come impedire la rovina della nostra società

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-ALFONSO SIANO-

 
Davvero avvincente ed attuale l’ultimo libro di Nunziante Mastrolia, dal titolo “Dalla società aperta alla società chiusa” (Rubbettino Editore). Ripercorrendo la storia di Roma e di Firenze, l’autore racconta della grandezza e della rovina della civiltà antica e rinascimentale e, forse, anche della nostra.Mastrolia ci fa capire come il tracollo dell’antica Roma non vada individuato nelle devastazioni portate da Annibale, né nell’avvento di una rivoluzione economica che sconvolgeva il vecchio ordine, ma in una decisione politica: il rifiuto del Governo romano di procedere ad una redistribuzione delle ricchezze, ossia la decisione di non procedere più all’assegnazione di nuove terre ai proletari e di chiudere la porta alle riforme.

Se infatti ogni cittadino romano aveva in teoria il diritto di beneficiare dell’uso dell’ager publicus, in pratica e con il tempo questo era divenuto il privilegio di una minoranza sufficientemente ricca per esercitare il diritto comune. Man mano che le piccole proprietà venivano fagocitate da chi disponeva di capitale e suolo pubblico, emergeva da un lato una classe aristocratica e dall’altro una manodopera servile. Alla polarizzazione economica e sociale seguì poi una polarizzazione politica, con l’aristocrazia che si trasformò dapprima in oligarchia e quindi in tirannia. L’assolutismo che ne conseguì spense progressivamente la vita economica, che non fu più tutelata dal diritto ma vessata dall’arbitrio del potere e dalla rapacità della tassazione.

L’autore, dopo averci immerso nell’antica Roma, ci porta nel cuore del rinascimento mostrando come, mutatis mutandis, lo stesso processo abbia interessato Firenze: una città divenuta Stato florido grazie non solo ai diritti strappati ad Impero e Papato, ma anche ad un impianto istituzionale che inizialmente vedeva la partecipazione del popolo ed i cui meccanismi arginavano la tentazione del potere assoluto. Tuttavia il tumultuoso sviluppo economico realizzato nel XIV secolo comportò che gli strati inferiori della popolazione si staccassero alquanto da quelli superiori fino a costituire due piani distinti. Quando, con il tumulto dei Ciompi, il popolo minuto provò a recuperare il terreno perduto chiedendo una maggiore rappresentatività politica, anche a Firenze avvenne quello che si era verificato a Roma secoli prima: l’aristocrazia si chiuse a riccio. E, complice anche la classe borghese che, per paura delle sommosse, rinunciò a parte dei propri diritti a vantaggio degli aristocratici, i capi delle famiglie più importanti iniziarono a competere fra loro per fini personali, appoggiandosi alle classi più umili come massa di manovra per raggiungere il potere assoluto. Con Lorenzo de Medici, la Firenze del XV secolo è l’esempio più illustre di evoluzione di città-Stato verso la tirannide e conseguente declino.

Il monito che l’autore ci trasmette con il suo coinvolgente saggio è dunque chiaro: il mercato lasciato libero di operare produce naturalmente sviluppo economico e disuguaglianza sociale; le ricchezze crescono ma contemporaneamente cresce la povertà. Il peso di questo sbilanciamento sociale ed economico inizia a gravare sempre più su quelle stesse strutture istituzionali, che inizialmente avevano generato la crescita. Sbarrata la strada ad ogni tentativo di riforme, la crisi esplode. Inizia la lotta fra gli oligarchi che, manovrando masse di diseredati anelanti ad un riscatto sociale ed economico, muovono all’assalto per la conquista del potere. Il vincitore ristabilisce la pace, ma con essa istituzionalizza un potere assoluto, che di fatto spegne ogni vitalità spirituale, politica ed economica.

In sintesi, Roma prima e Firenze poi crolleranno per non essere riuscite a conciliare giustizia sociale e libertà individuale ed a preservare quelle istituzioni che garantivano la libertà dei cittadini. Senza tale conciliazione le società aperte muoiono.

Un insegnamento quanto mai attuale, che richiama tutti i cittadini sull’importanza di monitorare e preservare le istituzioni repubblicane e la vita democratica nell’Italia di oggi, a partire dalla legge elettorale. E che sprona la politica ad intervenire a sostegno dei più, senza distruggere il mercato, per curare i mali che naturalmente lo sviluppo economico produce, aprendo così la porta a nuove fasi di maggiore sviluppo economico e di maggiore giustizia sociale, in un continuo crescendo.

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