Domande e risposte sul riformismo

Domenico Padovani, autore per conto della Fondazione Silone (L’Aquila) del libro “Attilio Susi, dalla bandiera rossa al Tricolore” ha rivolto a Giuseppe Tamburrano alcune domande sul riformismo, tema che è al centro del dibattito sul nostro blog.

1) In questo libro si accenna al singolare destino che ha avuto in Italia il riformismo moderato, vincente sul piano storico nei confronti del movimento rivoluzionario ma perdente sul piano politico. Secondo Lei perché nel nostro paese il riformismo non è riuscito a prevalere sul massimalismo e ad affermarsi come ideologia di massa?

Il discorso è molto lungo. Il riformismo prevalse nettamente nei primi 15-20 anni dalla fondazione del partito (1892). Successivamente fu perdente nel partito ma dominanante nel sindacato e nel gruppo parlamentare. La rivoluzione russa sconvolse i rapporti tra le due anime, ma il riformismo ebbe un ruolo importante negli anni 1922-1926 con il PSU, Turati, Kuliscioff e soprattutto Matteotti. La vittoria di Nenni contro i fusionisti nel 1922-23 (congresso di Milano) si iscrive largamente nell’egemonia riformista. Tuttavia prima la violenza e la dittatura fascista e poi l’egemonia comunista durante la Resistenza e la Liberazione hanno ridotto lo spazio del riformismo, benchè nelle elezioni del 1946 il PSI – che perà non era in maggioranza riformista – ottenne il 21 per cento dei voti, il 2 per cento in più dei comunisti. Bisogna considerare che vi era una componente socialsita nè riformista nè comunista, quella massimalista. La politica del PSI dopo il 1956 fu riformista e Nenni riconobbe le ragioni di Turati. Il craxismo è stato di ispirazione riformista. Oggi la crisi del capitalismo finanziario ha ridato un immenso spazio al socialismo. Il fatto è che sono scomparsi i socialisti.

2) Dopo la caduta del muro di Berlino nell’89 e la svolta della Bolognina dell’allora PCI, al PSI si aggiunse un altro partito socialista riformista (PDS), almeno nelle intenzioni, e, a parere di molti, in assenza di una fusione tra I due, uno era destinato a soccombere. Perche a soccombere è stato il PSI, il partito cioè che da sempre si era ispirato ai principi del riformismo e che, quindi, dava maggiori garanzie di affidabilità riformista?

La svolta della Bolognina non ha dato vita ad un soggetto riformista, ma ad un coacervo di pulsioni di “sinistra” senza capo nè coda. Craxi doveva impegnarsi a realizzare l’unificazione con quel partito su una posizione di coerente riformismo e di alternativa alla DC. Non lo fece – nè Occhetto lo incalzò e scelse la politica governativa con la DC di Forlani e Andreotti. Tangentopoli ha contribuito in modo determinante alla eclisse del PSI.

3-4) Tra massimalisti e riformisti come collocherebbe Nenni e Saragat? L’uso attuale del termine riformista è paragonabile a quello del riformismo classico dell’età giolittiana?

Saragat era il “riformista” ma l’acquiescenza alla DC l’ha snaturato. Nenni era giacobino massimalista, ma la soggezione al PCI rese il PSI un’appendice del PCI. Il termine “riformista” si è inflazionato e snaturato. Tutti si dichiararono riformisti, a destra, al centro e a sinistra. Il termine perse la sua caratteristica identitaria – storico-ideologica – di corrente del PSI e assunse un significato anodino: Bobbio disse che eravamo tutti riformisti e che fece più riforme, nel senso di cambiare le cose, la signora Thatcher.

5) Ritiene che il riformismo sia l’unico soggetto storico politico ad aver coniugato in Italia la tradizione risorgimentale con le istanze di democrazia sociale?

Senza esitazioni, la mia risposta è “si”.

6) Non Le sembra che la storiografia dell’area socialista abbia avuto meno risonanza e potere (nell’università, nei media ecc) rispetto ai suoi reali meriti scientifici?

Ci fu un momento in cui – attorno al ‘900 – il riformismo godè di una vera egemonia culturale (Croce, D’Annunzio, De Amicis, Labriola, ecc.) che si affievolì con l’affermarsi del massimalismo e poi del comunismo. Dalla seconda metà degli anni ‘80, il socialismo ha perso progressivamente ogni influenza nell’area politico-culturale. Anzi è caduto in una specie di damnatio memoriae che ha svilito e cancellato ogni merito del socialismo, il quale oggi è puramente ignorato o demonizzato: V. La vicenda Lavitola-L’Avanti!

7) C’è qualche libro che avrebbe voluto o intende scrivere?

Avrei voluto – e forse lo farò – scrivere una storia della sinistra con un capitolo finale: “Il socialismo ha vinto ma non lo sa” con riferimento alla crisi del capitalismo che rende “attuale” la rinascita del socialismo riformista-riformato alla luce del nostro mondo. Sulla base principalmente della formula post Bad Godesberg: “Stato e mercato”.

8) Lei che è oggi la memoria storiografica del socialismo italiano, si rimprovera qualcosa (scelte politiche, culturali, fiducia mal riposta, disattenzione per problemi di varia natura)?

Sì. Quando Craxi è stato risucchiato dalla contestazione alla gestione del potere avrei dovuto praticare nel PSI una opposizione netta, poichè quella di Martelli è stata una opposizione di mero potere.

9) Ispirandoci ad un filone culturale oggi assai di moda Le chiedo: se Lei immaginasse di poter cambiare qualcosa della storia del partito socialista italiano, cosa cambierebbe?

La storia non si fa con i “se” e pertanto la risposta è difficile. E anche se volessimo fare la storia di ciò che non è stato, occorrerebbe scrivere un libro poichè sono molte le questioni aperte. Giusto per dare una risposta, direi che l’elemento più negativo della storia del socialismo sono state le scissioni: quella del 1921 ha dato vita all’illusione rivoluzionaria – che è finita nel comunismo totalitario – ed ha agevolato in modo determinante la vittoria del fascismo; e quella del 1947 che ha spinto Nenni verso il frontismo filo-comunista e il PSDI nell’area dell’egemonia democristiana. I socialisti che, come ho detto, nel 1946 ottennero il 21 per cento dei voti, se fossero rimasti uniti avrebbero condizionato, dalla sinistra democratica, la politica centrista e democristiana.

10) Pensa che sia troppo presto per avere un’analisi storiografica adeguata sulla fine del PSI e del PSDI?

No, perchè i fatti sono noti e i documenti numerosi.

11) Secondo Lei Craxi è stato l’ultimo vero, grande riformista del movimento socialista?

Craxi è stato un leader di grande spessore; lo hanno tradito il suo disinteresse per la questione morale e la sua scelta dell’alleanza di governo con l’area moderata della DC invece di incalzare i comunisti dopo il crollo del muro di Berlino.

12) Prof Tamburrano, quanto manca oggi nel nostro paese un vero partito socialista riformista?

Manca moltissimo perchè una sinistra all’altezza dei tempi avrebbe molte carte da giocare.L’enorme disponibilità di risorse culturali e tecnologiche e la crisi profonda del capitalismo globalizzato, sono condizioni importanti per la nascita di un movimento socialista rinnovato che si proponga come alternativa democratica, culturale e politica.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

2 thoughts on “Domande e risposte sul riformismo

  1. Sottoscrivo quanto dice il Prof. Tamburrano riguardo agli errori storici dei socialisti italiani. In particolare – col senno di poi – il patto di Craxi con Andreotti e Forlani (CAF), nell’illusoria speranza di un ritorno a Palazzo Chigi, ha mortificato un percorso filosoficamente molto interessante intrapreso dal PSI negli anni ottanta. Mi riferisco alla svolta proudhoniana ispirata ai lavori del Prof. Pellicani. Purtroppo le questioni “gestionali-partitiche” hanno prevalso sull’elemento “teorico-ideologico” (con il termine “ideologia” qui utilizzato non nel senso deleterio marxiano, ma nel senso di sistema di idee). Ora, non solo le due grandi crisi, le due bancarotte mondiali (del comunismo e del capitalismo) vendicano l’idea di economia mista del socialismo, ma la crisi piu’ circoscritta del PSI vendica la figura del politico-intellettuale, troppo spesso marginalizzata al cospetto di quella del politico-amministratore.

  2. Poichè ormai ho superato la fase dell’ambizione, sono perfettamente d’accordo con il professor Tamburrano. Le federazioni e le Sezioni dovrebbero fare delle giornate di lavoro per incominciare a proporre iniziative atte a raccogliere i bisogni della gente, sollevare la questione, aprire dibattiti e alla fine portare nelle sedi deliberanti quanto raccoltio per soddisfare i bisogni di una società in trasformazione.

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