La Fondazione Nenni incontra Sonia Ostrica

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Sonia Ostrica è una donna rapida e vivace. Si aggira negli uffici della sede della UIL RUA con la velocità di un’anguilla quando la si osserva nuotare libera in mare. Da poco rieletta Segretaria Generale della categoria UIL RUA, l’abbiamo incontrata per avere da lei alcune impressioni sul congresso appena conclusosi e sulla situazione generale dell’alta formazione e della ricerca.

Dott.sa Ostrica…

Intanto dammi del “tu”, altrimenti mi metti in imbarazzo.

Va bene. Quindi: cara Sonia…

Ecco: così già va meglio.

Sei stata appena rieletta segretaria generale della UIL RUA. Che impressioni puoi raccontarci dell’ultimo congresso della tua Categoria che rappresenti con grande orgoglio?

Innanzitutto debbo dire che le emozioni sono state tante e tutte intense.

In  che senso?

Intanto, nel senso che il periodo che ci troviamo a vivere è particolarmente brutto e molto complesso, e scavalcare i tanti ostacoli non è stato semplice.

Sotto che profilo?

Sotto il profilo della rappresentatività e dei comparti, tutta la fase precongressuale è stata davvero burrascosa. E ti giuro che non ho mai lavorato tanto come è accaduto negli ultimi tre anni. Anche perché le vicissitudini intercorse fra sindacato e politica sono note a tutti, quindi non c’è neppure bisogno che stia qui a ricordarle.

Anni intensissimi, mi par di capire.

Molto. Soprattutto se consideri che ho dormito tre, quattro ore per notte.

Così poco?

Più o meno sì.

Preoccupazioni?

Più che altro la necessità di dovermi preparare per gli impegni con le idee chiare ed avendo letto i documenti necessari. Dovendo svolgere una nuova esperienza istituzionale, come tutte le donne non volevo arrivare impreparata, fosse ai tavoli di confronto negoziale come agli incontri interni alla UIL. A questo bisogna poi aggiungere anche l’impegno per il congresso di categoria e confederale e nel frattempo si sono svolte anche le elezioni RSU. Insomma: come ti dicevo, quando riuscivo a dormire quattro ore per notte mi ritenevo fortunata.

Da Segretaria Generale della UIL RUA, quali sono le tue priorità?

Innanzitutto grande attenzione nel formare i sindacalisti di domani.

In che modo intendi formarli?

Attraverso una preparazione di base teorica ma soprattutto attraverso un confronto diretto ma guidato col sistema.

La formazione “on the job”, come suol chiamarsi.

Esattamente. Quando ci si trova direttamente ai tavoli di trattativa accanto a chi ha già esperienza con quest’attività, si apprende molto di più che in ore ed ore di corsi teorici. Per essere bravi sindacalisti occorrono queste doti fondamentali: sintesi, chiarezza di idee e di espressione e capacità di catturare l’attenzione.

E come si acquisiscono?

In parte debbono far parte dei talenti individuali della persona. Ma in grande misura si apprendono proprio con l’esperienza. Troppo spesso ai tavoli ci sono sindacalisti infarciti di nozioni (tutte esattissime!), che però non portano a casa i risultati migliori. Il mio obiettivo è preparare i più giovani a saper condurre tavolo di trattativa, dando loro per tempo l’opportunità di assistere ed imparare da chi è più ‘navigato’. E’ importante attuare un percorso formativo anche on the job, che si acquisisce tramite l’esperienza sul campo, e bisogna farlo nonostante continuino a ridurci gli strumenti (ore di permesso e distacchi).

Come hai vissuto il congresso della Categoria di cui sei Segretaria Generale?

In realtà ci sono arrivata tranquilla. Per me la prima vera prova è stata la conferenza di organizzazione dell’anno passato.

Perché?

Perché fu in quell’occasione che per la prima volta ho gestito un evento importante, dopo aver ricevuto due anni prima il testimone da chi mi aveva preceduto in questo ruolo per un periodo molto lungo, cioè Alberto Civica.

E che ricordi hai di questa conferenza di organizzazione?

Feci una bella iniziativa “al femminile” per richiamare a consapevolezza i presenti sulla gravità dei femminicidi. Comprai delle uova “musicali” facendovi stampare sopra i nomi delle vittime di femminicidio e la data in cui le donne avevano perso la vita per mano di un uomo “in ragione del solo fatto di essere una donna”, che aveva opposto un rifiuto a quell’uomo. Dopo averne capito l’intento e il valore, i convenuti hanno fatto incetta di quelle rimaste e ora le vedo in giro quando vado nelle sedi sindacali. Intendevo lanciare un monito: e cioè che è sbagliato girare il viso dall’altra parte di fronte ad una realtà aberrante come questa, e che gli uomini devono ritenersi impegnati in prima fila ed essere vigili, sostenendo tutte le donne sia nella vita che nell’impegno lavorativo e sindacale (link al video rivedibile qua: https://video.corriere.it/uova-colorate-conferenza-uil-rua-ricordo-vittime-femminicidio/ceedd5a2-0a78-11e7-b712-325362193aaf )

Una tua impressione sul recente congresso della Categoria?

E’ stata molto apprezzata l’innovazione avvenuta con quelle che ho definito “mini lectio”, tenute magistralmente da diversi oratori su temi di interesse centrale per la nostra categoria, come ad esempio la querela per diffamazione, le conseguenze nei vari ambiti e le cosiddette “scriminanti” del sindacalista. Inoltre, anche in questa occasione ho voluto ci fosse una testimonianza forte sul femminicidio: essendo una Segretaria ritengo sia imprescindibile battere sul tema “di genere” per fare la differenza. Nella sala dove si sono svolti i lavori ho fatto mettere un albero di olivo – che simboleggia la pace e la vita – con attaccate sui rami delle scarpette rosse, simbolo dell’uccisione di donne a causa di maltrattamenti. Nel ribadire che il femminicidio non è un fatto “privato ma coinvolge l’intera società, ho voluto contribuire all’addobbo con un paio di scarpette bianche – come segno di speranza – e un paio rosse che appartennero a mia mamma, che aveva una grande attenzione alla cultura, alla bellezza, alla tradizione ma anche alla libertà di azione e di scelta come donna. Le ho volute per rendere omaggio a tutte le donne attraverso una donna, mia madre, esempio per me e per chi l’ha conosciuta di coraggio, anticonformismo, determinazione e passione

(link al video qua: https://www.msn.com/it-it/video/notizie/femminicidio-ostrica-segr-uil-rua-non-e-fatto-privato-ma-coinvolge-lintera-societ%C3%A0/vp-AAx6fA2 )

Inoltre il Coordinamento Pari opportunità di Categoria ha chiesto ed ottenuto dagli uomini di leggere alcuni brevi testi originali per ribadire un concetto fondamentale: e cioè che l’uomo che commette femminicidio non è la normalità e deve essere vissuto e denunciato come una aberrazione da isolare e condannare, come ogni stereotipo dannoso. Io sono convinta che solo coinvolgendo i nostri compagni e facendoli lavorare e riflettere su questi  argomenti, l’universo maschile può davvero cambiare, e posso affermare, dopo diversi anni di insistenze sul tema, di aver già notato emergere una diversa attitudine dei miei colleghi verso pari opportunità e femminicidio.

(link al video qua: https://www.youtube.com/watch?v=-PIvO1ubWOc&t=187s )

Ovviamente, al congresso si sono affrontati anche temi politici e contrattuali da affrontare con il nuovo governo, inerenti la specificità della UIL RUA che rappresenta tre diversi ex comparti, oggi dissennatamente assimilati in un unico contratto collettivo di lavoro assieme alla scuola.

È stato un bel congresso, molto partecipato, ricco di riflessioni e proposte, ed anche emozionante, non solo per me ma anche per gli ospiti che me lo hanno voluto espressamente rappresentare.

Che differenza c’è fra scuola, università e ricerca?

Una differenza sostanziale che possiamo riassumere così: la scuola diffonde il sapere, mentre l’università, la ricerca, l’alta formazione artistica e musicale lo creano. C’è sempre una errata convinzione che questi due ambiti del sapere siano per così dire ‘assimilabili’, mentre rappresentano ambiti con prerogative e caratteristiche diversamente definite e non paragonabili, né in termini teorici né in termini concreti o di risorse umane. Entrambi i sistemi – settore scuola e settore rua – sono importantissimi, ma devono essere ben distinti, avendo chiare le caratteristiche precise che appartengono all’uno e all’altro.

In UIL mantenere distinte le due categorie rappresentanti di  settori diversi, assicurando ad entrambe la propria autonomia ma favorendone la Federazione in un nuovo soggetto che garantisce le differenti specificità, è frutto di un patto, a cui si è giunti anche per avere un valor aggiunto in materia di rappresentatività. Ma è un patto che avvalora soprattutto la considerazione che la UIL rende evidente verso il mondo della ricerca e dell’alta formazione, troppo trascurato invece nel Paese.

La ricerca è importante per lo Stato italiano?

È fondamentale. Affermiamo da tempo che gli enti di ricerca e gli atenei pubblici sono i maggiori produttori di conoscenza, e che pertanto dovrebbero essere lasciati al di fuori dalle questioni e ingerenze di stretto ambito della politica.

Per troppo tempo si è detto – soprattutto al tempo della riforma Brunetta – che “va finanziata la ricerca ‘utile’ ”. Ma mai affermazione fu più assurda e incongruente. La conoscenza non la si può pre-orientare. Scherziamo? Ovviamente ci possono essere dei risultati più o meno immediatamente fruibili dopo una certa attività di studio. Questo non lo si sa a priori. Ma anche nel caso in cui i risultati che ci si attende non arrivino, e ciò può dipendere da tante questioni, non bisogna mai arrivare a pensare che quella ricerca non sia stata utile. Solo per fare qualche esempio, Cristoforo Colombo cercava gli indiani dell’India e scoprì quelli d’America; Fleming scoprì prima il lisozima e poi la penicillina per via fortuita e non calcolata, partendo da una lacrima che dopo anni gli fece notare una strana muffa. Al contrario, se non si riprende a finanziare con risorse adeguate la ricerca di base, fermata per troppi degli anni più recenti, non si riuscirà mai a frenare l’esodo dei cervelli, in fuga verso Paesi più lungimiranti del nostro, né a riportare a casa queste eccellenze che ci fanno concorrenza dai nuovi Paesi di adozione. Tutto ciò è avvenuto proprio perché si è commesso l’errore di considerare la ricerca un tema politico residuale ed un’area da finanziare con pochi spiccioli rispetto ad altre. La ricerca è invece un tema centrale, oggi più che mai se vogliamo invertire il trend di povertà crescente di cui leggiamo quotidianamente. L’alta formazione e la ricerca fanno infatti sempre e comunque la differenza nel mondo del lavoro.

In che modo?

Basta dare uno sguardo ai dati più recenti dell’ISTAT: un datore di lavoro laureato ha maggiori possibilità di resistere alla crisi fino al 28% in più rispetto ad un datore non laureato. Inoltre la laurea protegge maggiormente i giovani – e tra questi le donne – anche in periodi di altissima disoccupazione come quelli che stiamo vivendo. E ciò malgrado non si trovino impieghi adeguati e gratificanti, perché sono a breve termine e sottopagati.

Come mai la politica non mette al centro delle sue riforme la ricerca e l’alta formazione?

Vallo a capire! Forse perché nel nostro Paese governa sempre troppo la logica dei numeri, e gli addetti in ricerca ed alta formazione non sono bacini elettorali possenti.

O forse perché non si ha più intenzione di preparare classi dirigenti di valore per il futuro di un Paese che vede ricchezza e potere sempre più concentrati nelle mani di pochi. Forse perché si è perso il senso del valore aggiunto dello sviluppo sociale, dell’impegno che è indispensabile profondere per consentire alle classi sociali più povere di progredire e migliorare.

Assurda a mio avviso la convinzione che debba mantenersi il numero chiuso per l’accesso ad alcuni ‘prestigiosi’ corsi universitari – riducendo così il numero di studenti iscritti – nell’errata convinzione di garantire a questi laureati un posto di lavoro.

All’istruzione di grado più elevato devono poter ambire ed aver diritto tutti coloro che lo desiderino, la Costituzione garantisce – in via ahimè sempre più teorica per mancanza di allocazione di risorse adeguate – il sostegno agli studenti meritevoli e privi di mezzi. Non è accettabile che non si riesca a studiare ciò che ci piace, anche se poi si prenderà o si sceglierà un lavoro diverso.

E’ inaccettabile che il futuro del Paese sia determinato da poche mani in segrete stanze, passando attraverso una predefinita e millimetrica allocazione di risorse. Milioni sono stati spesi per sostenere aziende che poi hanno delocalizzato senza restituire al Paese quanto ricevuto ed intascato.

E’ ormai assodato, e non più solo tra gli esperti del settore, che senza investimenti in innovazione, ricerca, alta formazione, arte, cultura, non c’è sviluppo per nessun Paese: cosa si aspetta a tradurlo in buone prassi? C’è davvero molto da fare per migliorare, e se si potenziano ricerca e alta formazione a beneficiarne sarà il paese intero.

 

pierlu83

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