È passato un po’ di tempo dalla morte di Gheddafi. A mente fredda possiamo riflettere meglio. Appresa la notizia, ho esultato. Mi son detto: giustizia è stata fatta! Un tiranno pazzoide e tracotante come ce n’è pochi, ha fatto l’indegna fine che meritava. Macchiatosi di orribili delitti contro l’umanità, non solo in Libia (sua la paternità dell’orribile attentato del 1988 che fece esplodere un aereo Pan Am sul cielo di Lockerbie), non si era smentito neppure al crepuscolo del suo potere diabolico: aveva sguinzagliato criminali, brutti ceffi e mercenari a caccia dei freedom fighters suoi compatrioti. Figli del popolo libico, fratelli di sangue, che lui chiamava con sprezzo “ratti e scarafaggi”. La fine del ratto e dello scarafaggio, invece, l’ha fatta lui. Nemesi, dunque!
Ma poi ho visto le immagini del linciaggio: le grida concitate dei ribelli, la smorfia di dolore e il terrore sulla faccia di un uomo braccato e indifeso, un corpo esanime con i segni della violenza subita. Una scena brutale, disumana. Ho immaginato la dinamica dell’esecuzione sommaria: un pestaggio, schiamazzi, un colpo in testa e via! Un profondo disagio si è impadronito di me. Mi sono vergognato d’aver gioito. Ho provato, con mia gran sorpresa, un senso di pietas. Ogni forma di violenza – anche quella necessaria, per autodifesa – diminuisce la nostra umanità. Non c’è sollievo nella vendetta. Un tiranno morto ammazzato come un cane non riporta in vita le sue vittime. La mente, poi, è corsa subito a Benito Mussolini. In quel caso, ne sono ancora convinto, la fucilazione fu politicamente (e moralmente) giusta: la decise all’unanimità il CLN, che rappresentava la volontà popolare. Ma Piazzale Loreto fu un’infamia, una vergogna. Accanirsi contro i cadaveri di Mussolini, della sua amante e dei gerarchi fascisti, appesi a testa in giù come bestie macellate, m’è sempre parso una barbarie indegna di gente civile. Un accanimento comprensibile dati i tempi e le circostanze, ma giammai giustificabile col senno di poi. Il mitico Sandro Pertini, che pure aveva voluto la pena capitale per il Duce, tentò di fermare la folle inferocita a Milano. Giustizia era stata fatta, disse. E proprio per questo era sbagliato oltraggiare i corpi di quelli che erano stati esseri umani come noi (intervista a Oriana fallaci, L’Europeo, 27.12.1973).
Gheddafi non era l’alter ego di Osama Bin Laden. Un terrorista sanguinario con le armi in pugno va eliminato; un ex Capo di Stato, anche il più malvagio, va processato. Gheddafi aveva diritto a un processo equo alla Corte internazionale dell’Aja. In verità, ne avevamo diritto anche noi. E ne avevano diritto soprattutto le sue vittime. Una mini-Norimberga avrebbe passato in rassegna le gesta del tiranno, le sue atrocità. Certo, sarebbero emersi anche i nostri errori, le nostre complicità. Ma le polemiche, inevitabili in situazioni del genere, ci avrebbero fatto un gran bene. Troppo spesso in Occidente l’autocritica funziona a corrente alternata. Ora temo che, scomparso il tiranno, tutti vorranno voltare pagina in fretta e furia! Così verrà sprecata un’occasione di crescita morale e civile. “Conviene” anche a noi italiani che Gheddafi se ne sia andato così, quasi furtivamente: potremo finalmente dimenticare i massacri che il nostro esercitò commise in Libia. Senza quel personaggio schizzato ed eccentrico che ci puntava il dito contro, potremo rinverdire il mito “Italiani brava gente” – costruttori di strade, di ponti e di pace.
Per quel che mi riguarda, non dimenticherò mai che il tiranno una cosa giusta l’aveva fatta: in occasione delle sue visite in Italia esibiva la foto di Omar El Mukhtar, il Garibaldi libico. Guida militare e spirituale dei partigiani libici che lottavano per la libertà, El Mukhtar da prigioniero era solo un vecchietto stanco e innocuo. Nonostante ciò, dopo un processo farsa, venne impiccato per ordine del criminale di guerra Maresciallo Graziani e del tronfio condottiero Mussolini. Il feroce tiranno Gheddafi reclamava una sacrosanta giustizia postuma. Aveva ragione Shakespeare, Dio se aveva ragione!: “il male che gli uomini fanno sopravvive alla loro morte; il bene viene spesso sepolto con le loro ossa.”
Edoardo Crisafulli