Il problema della redistribuzione: Amazon e l’aliquota del -1%

di FEDERICO MARCANGELI

Con quasi 800 milioni di persone in povertà estrema ed il 47% della ricchezza mondiale concentrata nell’1% della popolazione (rapporto Oxfam 2019), appare evidente quanto sia pressante la questione della redistribuzione dei redditi. Nello stesso report, si evince come 10’000 persone al giorno muoiano per l’impossibilità di accedere alle cure sanitarie e che 262 milioni di bambini e bambine non abbiano risorse sufficienti per andare a scuola. In questo quadro, che definire sconfortante è poco, basterebbe “alzare dello 0,5% della tassazione sull’1% miliardario della popolazione, al fine di garantire l’istruzione per i 262 milioni di bambini impossibilitati ed offrire l’assistenza sanitaria a 3.3 milioni di persone“. So bene che nessuno dei miliardari mondiali abbia questa spinta alla tassazione e che, piuttosto, in molti preferiscano buttarsi sulla filantropia, che abbina al lavaggio di coscienza una ricca dose di detrazioni fiscali (che non guastano mai). Proprio per questo motivo, il compito di redistribuire il reddito spetterebbe allo stato. In realtà il trend globale mostra l’esatto opposto. Mentre le disuguaglianze crescono, l’andamento mondiale della tassazione è in caduta libera dagli anni ’70. 50 anni fa la media dell’imposizione sulle persone fisiche, nelle nazioni sviluppate, era infatti del 62%, mentre nel 2013 si assestava al 38%; nei paesi in via di sviluppo è invece del 28%. Ma ci sono anche delle nazioni ancora più “bilionaire friendly”. In Brasile e Regno Unito, il 10% più povero della popolazione paga una percentuale maggiore di tasse sul reddito rispetto al 10% più ricco.  Anche le grandi corporazioni hanno degli ovvi benefici fiscali che il privato cittadino si sogna, ma gli ultimi dati provenienti dagli USA vanno oltre ogni immaginazione. La protagonista della vicenda è Amazon, che ha fatto parlare di se per un anno record con 11.2 miliardi di utili nel 2018 (10.8 dopo le tasse statali). Questo utile monstre ha portato ad una tassazione federale del -1,2%: i contribuenti americani dovranno versare 129 milioni di dollari nelle casse dell’azienda. Stesso discorso per il 2017, in cui i 5.4 miliari (post tasse statali) di profitti hanno portato ad un’imposizione del -2.5%, con un rimborso di 140 milioni di dollari. Secondo l’Institute on Taxation and Economic Policy, il segno meno sull’imposizione fiscale di Amazon è arrivato proprio due anni fa, grazie all’idea di Trump di diminuire la tassazione delle società dal 35% al 21% ed aumentando gli elementi di sgravio. L’istituto studia da 40 anni il meccanismo di tassazione delle corporation e quindi è in grando di analizzare l’andamento della pressione sui grandi gruppi che, in media, riescono ad abbattere l’aliquota a meno della metà (10%). Il leader dell’e-commerce è riuscito a scendere ancora di più grazie ai 160 miliardi di dollari investiti negli ultimi 8 anni. Tutto ciò, in un paese nel quale anche la fascia indigente di popolazione paga l’1.5% di tasse ed i poveri sono al 12% (sotto soglia 12’000 dollari).

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