-di FRANCO LOTITO-
Le promesse elettorali impazzano e si rincorrono in una gara senza limiti a chi offre di più. O sarebbe meglio dire a chi offre di “meno”, almeno per quel che riguarda il fisco. Il piatto forte, manco a dirlo è la c.d. tassa piatta (meglio nota come flat tax), cioè un taglio senza precedenti del prelievo fiscale attraverso l’adozione di una unica aliquota che in buona sostanza verrebbe realizzato eliminando il principio della progressività (chi è più ricco paga di più) sostituendolo con un regime fiscale in cui chi guadagna di più, chi è più ricco paga di meno. Se ne fa un gran parlare dalle parti del centro-destra dove abitano i maggiori estimatori delle gesta di Donald Trump. Per la verità Berlusconi ci costruì sopra le sue prime vittorie elettorali. Era il 1993 quando agli elettori offrì uno slogan semplice ed abbagliante: “meno tasse per tutti”. Gli elettori la presero per buona e lo votarono, ma per l’appunto fu un abbaglio, visto che anche con i governi guidati dall’uomo di Arcore la pressione fiscale complessiva continuò a salire.
Adesso un Berlusconi redivivo (politicamente parlando, naturalmente) ci riprova. Questa volta però con la concorrenza ostile di Matteo Salvini il suo principale alleato/rivale. Che in materia fiscale vuole essere ancora più “trumpiano”. Tra i due sembra essere in atto una vera gara a chi rilancia con l’aliquota più bassa in una spregiudicata rincorsa che nella fiera del grottesco avrebbe un solo limite: quello di promettere “zero tasse per tutti”. Naturalmente nessuno si azzarda a dirlo, ma che questa sia la linea di orizzonte della cultura fiscale della destra è più che lecito supporlo. Per questo, scanso di ogni equivoco è bene chiarire che un mondo senza tasse non è un sogno; è un incubo. Che l’Europa ha già vissuto. Nella Russia sovietica e nei regimi comunisti dei paesi vassalli del Patto di Varsavia le tasse non si pagavano. Con la questione fiscale non si può scherzare.
Al riparo dagli strepiti propagandistici,i dati dell’ISTAT certificano che nel giro di 7 anni il gettito fiscale e contributivo complessivo è aumentato di oltre 43 miliardi di Euro, a conferma che la pressione fiscale del nostro Paese resta tra le più elevate nell’U.E. Il paradosso è che ciò è avvenuto in virtù di politiche fiscali che dal 2008 hanno visto ridursi le tasse sui profitti delle imprese e sulle rendite finanziarie mentre sono aumentate quelle sul lavoro. Più in dettaglio si può osservare che le ritenute sui redditi da capitale (le c.d. rendite) sono diminuite di quasi 1,5 MD mentre il prelievo sui redditi da lavoro è aumentato per una somma quattro volte superiore: 6,3 MD. E’ da sottolineare che nel frattempo l’IMU e la TASI – che ad ogni effetto possono essere considerate come le tasse sul ceto medio – sono più che raddoppiate passando dai 9 MD del 2008 agli oltre 20 MD del 2016.
Ancora più eclatanti appaiono i dati riferiti alle imprese. Nell’arco di tempo preso in considerazione, per loro le imposte sul reddito sono state tagliate di ben 10MD, mentre l’IRAP (Imposta Regionale sulle attività Produttive) è stata quasi dimezzata passando dai 36 miliardi del 2008 ai 20MD del 20016. Come dire che in totale, alle imprese sono stati trasferiti 26 miliardi di Euro. Invece non hanno avuto di che festeggiare i consumatori per i quali il prelievo tramite IVA è passato da 93 a 103 miliardi mentre per le accise sui carburanti l’incremento è stato di oltre 2 miliardi di Euro.
Ce ne sarebbe quanto basta per denunciare il carattere socialmente iniquo di queste politiche fiscali, ma c’è di più ed è la funzione ancora più discorsiva che viene esercitata dalle Addizionali regionali e comunali sull’IRPEF e sul modo in cui funzionano. Anche in questo caso i numeri dell’ISTAT aiutano a capire come stanno le cose. 5 miliardi di Euro in più a titolo addizionali sono il tributo che le persone fisiche (il mondo del lavoro in generale) hanno dovuto versare nelle casse regionali e comunali nel frattempo dissanguate dal taglio dell’IRAP.
Di fronte a questo quadro come si fa a “volantinare” promesse con tanta leggerezza e spregiudicatezza? La verità è che nelle logiche della tassa piatta si annida una gigantesca operazione di indebolimento dello Stato democratico e di iniquità sociale. Ed è questo andrebbe detto agli elettori con pacatezza e con grande fermezza.