-di ANTONIO MAGLIE-
Finalmente la sinistra (vecchia che spera di essere nuova) ha individuato le fondamenta più solide su cui ricostruirsi: la “politicità” dell’abbraccio. Da questo punto di vista, quella alle spalle è stata una settimana significativa, dominata da una domanda a dir poco epocale: quanto Pisapia è amico della sinistra e quanto, invece, è vassallo di Matteo Renzi e del Pd? E, soprattutto, ci si può sentire “a casa propria” alla festa di una forza politica in qualche misura contigua, seppur attestata su posizioni moderate, o bisogna mantenersi alla larga da certe contaminazioni con lo snobismo tipico della “gauche caviar”?
Ora diciamolo chiaramente: dal punto di vista delle risposte che gli elettori si attendono da una sinistra non semplicemente rinnovata ma rinata (perché è evidente che questa è una categoria dello spirito se poi, complessivamente, i sondaggi le attribuiscono tra il 5 e il 6 per cento), sono questioni che non hanno alcuna incidenza. Chi non va a votare perché non ritrova da quella parte un’offerta credibile o ha deciso di voltare le spalle a quella parte ritenendo più consone alle proprie attese le risposte che vengono da altre parti (in alcuni casi, anche contrapposte), certo non sarà spronato a farlo per il fatto che Pisapia si astenga dall’abbracciare Maria Elena Boschi o abiuri il sacrilego atto cospargendosi il capo di cenere.
Né cambia la sostanza delle cose (cioè il contenuto della proposta che dovrebbe favorire la riaggregazione non solo politica ma anche elettorale di un’area) la questione del sentirsi a “casa di qualcuno” più che a “casa di qualche altro”. Se la sinistra vuole governare (che è poi l’unico modo per provare a imporre scelte diverse di gestione dell’economia, del lavoro e delle politiche sociali) con i numeri attuali (e probabilmente futuri) dovrà per forza di cose cercare alleati. Dove? Evidentemente nelle zone limitrofe. Il Pd è brutto, sporco e cattivo e si muove sulle note della canzone del film di Manfredi (ohaho, ando’ vai, ohaho; vojo annà ndo’ me pare… : un ritornello che sembra quasi una metafora)? È possibile, ma se l’alleato non è lui chi altro può essere? E ci si può sentire “nemici” a casa di un possibile alleato? O, di converso, sentirsi amici a casa di Berlusconi, Salvini, Meloni e dello stesso Grillo? Sinceramente, la risposta appare obbligata.
La polemica è stata da alcuni definita surreale. Ma se ci manteniamo nel campo delle arti, il surrealismo ha prodotto cose notevoli. Il problema è che questa polemica più che surreale, appare infantile. Perché dà l’immagine di una sinistra che non ha ancora attraversato il confine tra il secolo scorso e quello attuale. Resta sempre la solita: attardata nell’esaltazione del “miglior nemico” che è poi normalmente un “ex amico”. Pretendere di rinascere portandosi dietro il bagaglio di rancori e risentimenti personali e ideologici che hanno frenato l’affermazione della sinistra (e del centro-sinistra) come forza di governo nel Novecento, è patetica (e infondata) ambizione. Non interessa l’abbraccio delle persone ma l’ampiezza delle idee e da questo punto di vista si registra solo la solita litigiosità con una moltiplicazione di “federatori” ormai più numerosi dei gruppi (e speriamo non ancora degli elettori) da federare.
Al cittadino-elettore deluso e disperso in attesa di una novella più o meno lieta, interessa sapere in che modo la sinistra riformulerà una politica dell’occupazione che riporti al centro i diritti dei lavoratori spinti ai margini da finanza, globalizzazione e tecnologie al servizio della globalizzazione; vuole conoscere come una sinistra capace di legare la modernità delle proposte con la storicità dei valori intende riorganizzare il welfare non per smantellarlo (come sta avvenendo) ma per migliorarlo; come intende ripensare e, soprattutto, rilanciare il ruolo dello stato anche sottolineando la discontinuità con quelle correnti di centro-sinistra che si sono affrettate, culturalmente egemonizzate dal liberismo, a svilirlo e smantellarlo o venderlo a prezzi di saldo; come pensa di affrontare, rifuggendo dai vecchi stereotipi (purtroppo ancora intellettualmente operanti), la riforma di un sistema fiscale sfuggente, reso negli anni più complicato dall’abbattimento delle frontiere; come pensa di affrontare la grande questione delle migrazioni, della natalità declinante, dell’allungamento dell’attesa di vita in maniera sana e non stupidamente automatica del periodico procrastinare dell’età pensionabile. È su questo che bisogna ritrovare un luogo e uno spazio comune, certo non sulle polemiche sterili in cui si dilettano vecchi e allenati galli da combattimento abituati a beccarsi in un pollaio sempre più stretto.