-di MAGDA LEKIASHVILI-
Mentre ad Amburgo, durante il G20, tutti aspettavano il famoso incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin, la Russia compiva il suo ennesimo intervento illegale nel territorio georgiano. Ha spostato per alcuni metri la cosiddetta frontiera tra la Georgia e i suoi territori occupati, demarcati dal filo spinato. Il filo, che separa i villaggi, vieta anche agli abitanti di superarlo. La costante violazione da parte russa degli accordi internazionali non ha attirato l’attenzione dell’occidente.
Due giorni fa, quando il presidente georgiano, Giorgi Margvelashvili, ospitò il suo collega ucraino, Petro Porosenko, venne programmata una visita nelle vicinanze dei villaggi occupati dalle truppe russe. Anche l’Ucraina, così come la Georgia, non riesce a riacquistare l’integrità territoriale. Con i conflitti ancora accesi con la Russia, non riesce nemmeno a fare ulteriori passi verso l’integrazione euro-atlantica. Secondo Porosenko, il filo spinato non è una linea d’occupazione, ma è soprattutto un divario fra passato e futuro. E al futuro bisogna guardare con speranza. Ma il drammatico precedente della crisi russo-georgiana del 2008 e quello russo-ucraina del 2014 danno poche speranze, finché la Russia non cambia la sua politica verso i proprio vicini.
Nel caso georgiano la Russia ha inteso opporsi alla volontà di Tbilisi di sviluppare la sua democrazia nel sistema di alleanze occidentali. Nel caso ucraino ha voluto impedire a Kiev che il suo rapporto con l’Unione Europea evolvesse verso forme organiche.
È vero che la reazione occidentale all’annessione della Crimea e al sostegno russo ai ribelli del Donbass (1) sia stata molto più energica e duratura di quella esperita a fronte della controffensiva russa nelle province georgiane. Per l’Ucraina sono state decise sanzioni che nel caso georgiano non sono state neppure evocate. Tuttavia, rispetto alla gravità delle azioni russe, mai è stata evocata l’opzione armata, neanche in termini di invio di consiglieri o di armi.
Si può discutere di interferenze russe anche sotto il profilo degli orientamenti che Georgia e Ucraina esprimono o non, sul piano politico interno e internazionale. La Georgia del 2003 e l’Ucraina del 2004 ebbero “rivoluzioni colorate” rosa-arancio. In seguito a questi eventi, nei due governi sono arrivati leader pro-occidentali, che hanno mutato il percorso politico spingendolo in senso democratico e filo occidentale. L’occupazione dei territori della Georgia e dell’Ucraina è stato un avvertimento per gli occidentali, per far capire che la Russia non tollera l’allargamento della Nato e dell’Unione Europea.
Ulteriori analogie vanno messe in evidenza. Nel caso ucraino e georgiano, la Russia non ha proceduto alla semplice annessione di territori sui quali vantava interessi. Ha aggirato le regole del diritto internazionale, utilizzando comunità russe presenti in territorio ucraino e georgiano per arrivare alla stessa conclusione dell’annessione, ma con modalità che avrebbero consentito, sul piano della forma, la difesa di Mosca sul piano politico e dinanzi ad una eventuale Corte di giustizia internazionale. La Russia ha utilizzato alternativamente e con sapienza politica le sue comunità inserite nei contesti nazionali ucraino e georgiano (specialmente in quello ucraino) e gli attriti esistenti tra governi centrali nazionalisti e minoranze attive pro-russe (specialmente in quello georgiano). Argomenti utilizzati quello sull’autodeterminazione dei popoli e la protezione dei russi in territorio estero.
Così il presidente russo firma, nel novembre 2015 a Sochi, accordi per la difesa e la sicurezza dei confini dell’Abchazia, la repubblica caucasica de facto indipendente ma giuridicamente tuttora parte del territorio georgiano, che gode del riconoscimento solo di Russia e qualche altro stato. Mosca ha anche firmato, il 18 marzo 2015 al Cremlino, il trattato d’integrazione con l’Ossezia del Sud, anticipazione dell’imminente annessione della regione alla Russia. Vi si prevedono finanziamenti, e garanzie di difesa, tra le quali l’ulteriore militarizzazione del confine con la Georgia.
In Crimea, strumento decisivo di questa strategia che tende a superare, con tecniche del diritto internazionale formale, la palese violazione sostanziale del diritto sui confini, si è rivelato il referendum dopo l’intervento militare del 16 Marzo 2014, in cui i cittadini sono stati chiamati a decidere sull’autodeterminazione della penisola. I dati definitivi fissano al 96,6% gli elettori della regione ucraina favorevoli alla secessione da Kiev e all’annessione alla federazione Russa (Il Fatto Quotidiano 2014). Mentre il Cremlino afferma di essere pronto ad accogliere la repubblica autonoma, la Casa Bianca ribadisce che il referendum contrasta con la costituzione ucraina, e la comunità internazionale nega validità al risultato citando minacce di violenza e intimidazioni. Sanzioni e contro sanzioni hanno documentato una sorta di braccio di ferro sull’Ucraina tra est e ovest, la cui soluzione non appare a portata di mano.
A questo proposito, un’ulteriore lettura della conduzione delle ostilità in Georgia e Ucraina, può fornire altri elementi interessanti. La guerra in Georgia si esaurì in poco più di una settimana e, a fine agosto 2008, si concluse con la proclamazione dell’indipendenza delle due repubbliche. In Ucraina ha assunto contorni e soprattutto tempi piuttosto diversi. Le ostilità in Donbass non si sono mai completamente arrestate, e il legame dei separatisti con Mosca è stato ravvivato con continuità. Il governo ucraino temporeggia nel processo di decentramento e gli Stati Uniti proseguono nel sostenere sempre più apertamente chi a Kiev e dintorni vanta di comportarsi come un eroe antirusso.
Sono diversi anche i tempi dell’intervento occidentale in questi conflitti. Dopo una settimana di guerra in Georgia, l’allora presidente francese Nicholas Sarkozy volò a Mosca per negoziare con il Cremlino il piano di pace che mise fine alle ostilità. In Ucraina, dopo anni di combattimenti e due tentativi di accordi per la pacificazione, è ancora tutto in bilico. Tuttavia Ucraina e Georgia hanno ambedue una crisi aperta sul limes e soldati russi d’occupazione all’interno di quel tracciato.
(1) Il bacino del Donec, noto anche come Donbass è il bacino dell’omonimo fiume della Russia e dell’Ucraina, il Donec, affluente del Don.