-di FEDERICO MARCANGELI-
Il 14 Luglio 1789 gli insorti francesi presero la Bastiglia, una data simbolica per tutto il liberalismo europeo. Di lì a poco (il 26 Agosto) la “Dichiararzione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” pose una pietra miliare per la Francia e per tutta l’umanità.
“I Rappresentanti del Popolo Francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerato che l’ignoranza, la dimenticanza o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne Dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa Dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo, potendo essere in ogni momento paragonati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principi semplici e incontestabili, si rivolgano sempre alla conservazione della Costituzione e alla felicità di tutti”.
Un incipit che risulta essere di un’attualità disarmante, individuando fin dal 1789 gli obiettivi di uno stato di diritto. Stesso discorso per i 17 punti della dichiarazione, tutt’oggi al centro del dibattito politico inglese. Il parallelismo che viene più immediato è quello con il “piccolo rivoluzionario” Emmanuel Macron. Il leader di “En Marche!” ne ha richiamato più volte (anche se indirettamente) il contenuto. L’inclusività di tutti è il primo filo conduttore del pensiero politico del neo-presidente, concetto che emerge già nel documento del 1789. Certo, l’Europa o le migrazioni non erano problemi già pressanti, ma la linea dell’includere tutti, allo scopo di migliorare la società, è certamente presente. Una lotta alle disparità ed alla disuguaglianza, viste come non funzionali alla società. “Il sistema ha smesso di proteggere coloro che doveva proteggere. (…) La politica vive ormai per se stessa ed è più preoccupata della propria sopravvivenza che non degli interessi del paese”. Questa critica, mossa durante il discorso di candidatura di novembre, rappresenta un curioso parallelismo con la Rivoluzione Francese e la Dichiarazione. Anche in quel caso si poneva l’uomo (come essere e come cittadino) al centro di tutto. Non solo la generica “felicità collettiva”, ma anche una precisa indicazione ai partiti politici (se così vogliamo chiamarli): “Lo scopo di ogni associazione politica é la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo” (punto 2 della dichiarazione). In questo quadro appare quantomai azzeccato il titolo Rivoluzione per il primo libro di Macron. Un continuum di “rottura con il passato” che ripercorre la Francia ad oltre 2 secoli di distanza.
Con questa breve riflessione non si vuole eguagliare l’avvento di Macron ad un evento come quello del 1789. Le portate sono ovviamente differenti e la Francia attuale è lontana anni luce dai problemi di 230 anni fa. Però, con tutte le critiche sollevabili verso il neoeletto, non è nemmeno da sottovalutare il peso politico di questa elezione. Il neo-presidente ha spazzato via quella parte di politica conservatrice ed anacronistica, che fino a poco fa reggeva le redini di una delle più grandi superpotenze mondiali. Ha riportato l’attenzione sull’unità del popolo; non nel senso nazionalistico del termine, ma nella sua sfumatura più solidaristica ed inclusiva. Certo, la sua inclusività è ricchissima di contraddizioni, così come per i migranti risulta complicato parlare di profughi che sfuggono dalla morte da ospitare e di migranti economici che, al contrario cercano solo i mezzi di sostentamento minimi per sopravvivere (anche loro, in fondo, guardano ogni giorno in faccia la morte cercando scampo in un viaggio spesso senza ritorno).
Parlare di una nuova rivoluzione francese è troppo e forse fuori luogo, ma nel suo “piccolo” l’evento è stato decisivo per le sorti della Francia e dell’Europa: una profonda trasformazione della classe politica sottolineata dall’altissimo tasso di avvicendamento sugli scranni dell’Assemblea Nazionale. Un restauro di quei valori che con il Fronte Lepenista sarebbero stati rimessi in discussione anche se poi alcuni toni del nuovo assaltatore della Bastiglia hanno in qualche misura ricordato Marine. Ma a volte la ricerca spasmodica del consenso e del conseguente voto, soprattutto quando si punta tutto sulla “trasversalità” tenendosi alla larga da una identità precisa, si finisce per rimanere vittime di qualche inciampo o di qualche rovinoso “scivolamento”.