Antifascismo massacrato da una politica senza valori

 

-di ANTONIO MAGLIE-

La storia del gestore del bagno di Chioggia sostanzialmente trasformato in un “campus” fascista, ha svelato una realtà: la grande indifferenza che oggi circonda i valori antifascisti e la notevole tolleranza che accompagna gruppi, gruppetti, grupponi e personaggi che strizzano l’occhio a tendenze e ideologie diventate quasi di moda (a Monza il sindaco ha aperto le porte della giunta all’esponente di un movimento di ispirazione neonazista). A mettere la ciliegina sulla torta ha provveduto Massimo Corsaro, ex missino doc, che riscoprendo le antiche radici sul solito social ha pubblicato questo simpatico commento contro il democratico Emanuele Fiano “colpevole” di aver presentato una proposta di legge che vorrebbe punire il reato di apologia: “Che poi, le sopracciglia le porta così per coprire i segni della circoncisione”.

Questo è un Paese che con la sua storia non ha mai fatto i conti. Palmiro Togliatti a proposito del fascismo parlò, giustamente, di “regime autoritario di massa” in quanto sostenuto dal consenso degli italiani. Che poi, stanchi della guerra (dove, detto tra parentesi, in termini di vittime riuscimmo a pagare uno tra i prezzi più bassi: meno di cinquecentomila morti), si convertirono improvvisamente all’antifascismo tanto che il 25 aprile l’esercito partigiano veniva accreditato di 220 mila effettivi essendo formato poco dopo l’8 settembre da poche bande e appena ventimila uomini. I grandi burocrati vennero tutti salvati dai rigori dell’epurazione, ci fu una amnistia (rispetto alla quale non mancano le responsabilità di Togliatti) e l’Italia tornò quella di sempre: furba ed estremamente tollerante e clemente nei confronti dei propri vizi.

Ciò non toglie però, che per quasi mezzo secolo i valori dell’antifascismo, seppur filtrati attraverso visioni ideologiche estremamente diversificate (rileggere la teoria delle “tre guerre” di Claudio Pavone, ma anche di Bobbio: può essere decisamente istruttivo) siano riusciti a sopravvivere e a informare la politica italiana. Poi è arrivata la seconda repubblica, tra squilli di tromba e rulli di tamburi. E con la seconda repubblica, sul confronto delle idee, degli ideali e dei valori (già abbastanza appannato nella prima), ha prevalso la logica del mercato delle vacche applicato al voto. La corsa allo “sdoganamento” è partita. D’altro canto, come dimenticare un presidente della Camera, ex comunista, che travolto da questa pericolosa aria invitava a comprendere le ragioni dei “ragazzi di Salò” (anche in questo, rileggere Bobbio: può essere istruttivo). Silvio Berlusconi, più lesto di tutti, imbarcò i missini che nel frattempo avevano cambiato “divisa”: cravatte eleganti, doppio petto, camicie bianche, Mussolini che da più grande statista del secolo, veniva messo (formalmente) in soffitta. Di questa storia Corsaro è un epigono (ora si è accucciato dalle parti di Raffaele Fitto).

Il sasso nello stagno lanciato da Berlusconi è stato raccolto da altri eroi di questa politica. Quella al voto, d’altro canto, è una caccia decisamente spietata. Ecco, allora, Matteo Salvini, che stringe un accordo elettorale con Casa Pound, cioè con quelli che apertamente si definiscono i fascisti del terzo millennio. E certo non poteva non partecipare alla caccia Beppe Grillo e il suo Movimento 5 stelle che aspirano al 40 per cento e vogliono governare.

Conseguenza: i valori dell’antifascismo sono stati massacrati, culturalmente, prima ancora che politicamente, sacrificati sull’altare della spregiudicatezza di una vera e propria post-politica che dei patrimoni valoriali che dovrebbero informare la storia di una comunità non sa proprio cosa farsene. Da un lato si strizza l’occhio a quella che sembra essere una “moda politica” (decisamente pericolosa) che raccoglie consensi al pari di un oggetto trendy, dall’altro si conferma una Costituzione che su quei valori si fonda. Un doppiogiochismo cinico e volgare. I pentastellati hanno mandato in giro per l’Italia a bordo di uno scooterone prudenzialmente “casco-munito” uno delle “icone pop” del partito, Alessandro Di Battista. Sembra che impartisse lezioni di costituzione: cosa abbia spiegato in materia giuridica un ex studente del Dams non è dato sapere. Ma dubitiamo che abbia provato a raccontare la storia che c’è dietro quella costituzione, la sofferenza (di una minoranza, soprattutto) che la volle molto più degli altri e lo stretto legame con i principi di libertà e, di conseguenza, con l’antifascismo. Chissà se Di Battista nelle sue lezioni ha spiegato che vi è anche una disposizione transitoria che vieta la ricostituzione del partito fascista e non sappiamo se di questo abbia qualche volta, in gioventù, parlato a casa sua con il padre che si è dichiarato pubblicamente e orgogliosamente fascista.

La proposta di legge messa a punto da Fiano è molto discutibile. Quello dell’apologia è un terreno scivoloso. Lo ha spiegato Cesare Mirabelli in un esemplare intervento su “Il Messaggero”. La Costituzione, infatti, da un lato tutela la libertà di opinione dall’altro vieta la ricostituzione del partito fascista (o di qualcosa che gli assomigli). Non impedisce l’idea ma vieta l’atto concreto. In sostanza: ognuno è libero di dichiararsi fascista anche se la cosa può ripugnare (legittimamente) molte coscienze, ma la legge può intervenire soltanto se quella persona organizza un movimento che si ispira direttamente a quelle ideologie, manifesta dichiaratamente il suo rifiuto dei principi democratici, esprime simpatia nei confronti delle diverse forme di discriminazione (razziale, politica, religiosa, culturale, linguistica, eccetera), indica l’obiettivo di un sovvertimento violento delle istituzioni.

È su questo filo sottile che bisogna passeggiare e l’iniziativa di Fiano in qualche modo rischia di farci cascare, da una parte o dall’altra, esponendo paradossalmente il Partito Democratico all’accusa di perseguire concetti in qualche misura anti-democratici. Ma questo è un discorso che andrebbe svolto in maniera pacata, proprio perché il tema è complesso e tocca sensibilità e suscettibilità. Soprattutto tocca (o dovrebbe toccare) l’essenza stessa di una nazione, costruita sugli entusiasmi di un amor di patria rinato proprio con l’8 settembre, cioè con il nuovo antifascismo che si legava, spiritualmente, a quello antico che aveva preso la strada dell’esilio (anche su questo tema, rileggere Bobbio). Al contrario nel “mercato politico delle vacche” tutto è stato svilito al rango della propaganda con l’unica finalità di portare a casa i voti di concittadini che semmai parlano di futuro ma nel frattempo si struggono di nostalgia per quanto di più vecchio questo Paese abbia prodotto. Alla fine di questo percorso, poi, spunta Corsaro che illustra l’immagine di un’Italia che ha abbassato notevolmente le sue barriere immunitarie contro i profeti dell’uomo della provvidenza in stivaloni, olio di ricino, armato di sottocultura dell’ordine e di quella retorica paccottiglia che vede nei “fastidi” della democrazia la causa di tutti i guai. Peccato non ci sia anche per questo una vaccinazione obbligatoria.

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