Immigrazione, le sortite di Renzi e l’immobilismo a sinistra

 

-di ANTONIO MAGLIE-

Matteo Renzi riesce ad aver torto anche quando potrebbe avere ragione. Le sua nuova linea politica sulle migrazioni (“numero chiuso”, “aiutiamoli a casa”, “più soldi alla cooperazione) soffrono di due malanni: superficialità e strumentalità. Superficialità perché quelle parole d’ordine sono state usate e abusate dalla destra (più moderata e più reazionaria) svelando una sola realtà: quelle scelte non producono risultati, non bloccano i flussi. La strumentalità, invece, è evidentemente legata al fatto che questa nuova “posizione” è il prodotto dei risultati elettorali, soprattutto quelli di alcune grandi città. Il fatto è che “aiutarli a casa loro” ha poco senso se non prendiamo atto che alla base di queste ondate migratorie vi sono soprattutto problemi economici figli di squilibri alimentati dall’Occidente ricco, anzi opulento. “Aiutarli a casa” equivale a dire che dobbiamo produrre un bel taglio sulla nostra ricchezza (come dice chiaramente Papa Francesco) favorendo, così, una grande redistribuzione internazionale. Evitando, al contempo, che la redistribuzione garantisca l’arricchimento dei numerosi satrapi che popolano da sempre il Terzo Mondo e che spesso sono i migliori partner dell’Occidente. Insomma, “aiutiamoli a casa” è sempre stato uno slogan ipocrita. Non lo sarà più nel momento in cui le classi dirigenti nazionali e internazionali diranno alla parte più ricca del mondo, cominciando soprattutto dai personaggi che monopolizzano le classifiche di Forbes, che è venuto il momento di stringere la cinghia per consentire agli altri di allargarla. Ma non risulta che qualcuno sia disposto a fare questo annuncio.

Ciò detto, Renzi tocca in maniera impropria un nervo sensibile della sinistra: quello dell’accoglienza. È evidente che esiste un punto di rottura, soprattutto se quelli che dovrebbero essere i nostri partner decidono di chiudere le proprie frontiere e di rispedire nel nostro paese chi prova a bypassare i posti di polizia. L’immigrazione non è un problema in assoluto e Tito Boeri lo ha spiegato ampiamente qualche giorno fa parlando di previdenza, cioè di un sistema che non può fare a meno degli incrementi e degli avvicendamenti democratici. E se a tutto questo non provvedono le indigene e gli indigeni, allora il più alto tasso di natalità degli immigrati può venirci in aiuto.

L’immigrazione, dunque, può essere trasformata in una opportunità. Ma non è più una opportunità quando si sviluppa in un quadro di grande disordine, se non è accompagnata da una politica razionale, se non prevede meccanismi di selezione (lo fanno tutti, perché mai dovremmo vergognarci noi?) e di integrazione. Ed è esattamente quel che avviene in Italia. Da sempre dall’epoca della Bossi-Fini che non ha frenato i flussi o dei ridicoli respingimenti di Maroni che hanno respinto soltanto il leader leghista limitandone le competenze politiche alla sola regione Lombardia. È chiaro che in questo quadro non governato cresce l’irritazione dell’opinione pubblica. Non possiamo certo spacciare per accoglienza i migranti che finiscono nella maggior parte dei casi agli angoli delle nostre strade, senza una prospettiva di vita e di lavoro. Il punto di rottura non è lontano e fa male la sinistra a non prenderne atto perché solo prendendone atto potrà mettersi a tavolino per provare a mettere a punto una politica coerente. Perché se è pericolosa una destra che strumentalmente solletica ed esaspera paure ancestrali, allo stesso modo è dannosa una sinistra che si barrica dietro l’inconcludenza per il timore di smarrire presunte purezze ideologiche.

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