-di SANDRO ROAZZI-
Rallentano i prodotti energetici ed alcune tariffe (fisiologico, non c’èda rallegrarsi) e subito l’inflazione segna il passo. A maggio cede lo 0,2% su aprile, quella acquisita si attesta all’1,2%, quella di fondo torna mestamente sotto l’1% scendendo allo 0,7%. Lo scenario insomma resta fragile, una sorta di sottile parete giapponese oltre la quale si intravedono le ombre dell’incertezza.
I beni alimentari con le bevande registrano una inflazione acquisita del 2,3%, un valore modesto ma per redditi medi ed alti, non certo per quelli da pensione o quelli del lavoro precario. Complessivamente insomma la situazione non si discosta da una crescita economica modesta e certamente è ancora distante da quel 2% che invece l’Europa vede all’orizzonte ed è il traguardo previsto dalla Bce per riconsiderare la questione dei tassi e per iniziare a ridurre l’acquisto di titoli pubblici. Con conseguenze da valutare e che non richiederebbero di procedere in ordine sparso come da noi.
Ma del resto i problemi sono altri. Il debito pubblico italiano sale ancora a quota 2700 miliardi di euro ed inevitabilmente fa drizzare le orecchie a Bruxelles ed investitori esteri. La correzione della manovra passata in Parlamento è un buon viatico ma quel macigno resta pur sempre la spada di Damocle sui nostri conti pubblici.
La direzione di marcia resta per giunta, data la confusa situazione politica, un optional indecifrabile. E ancora una volta l’ombra della Grecia si proietta sui comportamenti europei. Colpisce in questo caso che il vero scontro sul debito greco avvenga fra Fmi e Germania. L’Europa pare non esistere. Forse sarà questo il primo test per vedere se la Francia di Macron saprà entrare in gioco… sparigliando il tavolo.
Eppure l’economia reale suda e migliora. Lo fa in un contesto che probabilmente non si merita. Ma non se lo merita anche perché non riesce a esprimere un adeguato peso politico con rappresentanze sociali affette da labilità e vuoto di proposte. La stagione della grandi Assemblee sembra essere un copione sbiadito di tempi andati. Il confronto sociale, quando c’è, non morde.
L’uscita dagli ultimi tentacoli della recessione non riesce ancora a velocizzare il passo dello Stato e della economia come sarebbe auspicabile. E sullo sfondo si profila un’altra amara realtà che probabilmente “trasuda” anche dalle ultime elezioni amministrative. Una pericolosa incapacità a ricreare classe dirigente vera da parte di tutti gli aggregati politici rimasti in piedi. Forse il problema più acuto in prospettiva, anche rispetto al debito pubblico.