Raccontò l’aneddoto con tono divertito: “Lo ricevetti mantenendo un atteggiamento doverosamente istituzionale. Lui invece non smise un attimo di scherzare e far battute, cercando in ogni modo di accattivarsi la mia simpatia. Alla fine, con sguardo impassibile, gli dissi solo che avrei tenuto in debito conto le sue parole. Un commesso aveva appena aperto la porta per accompagnarlo all’uscita, quando accadde l’incredibile. Berlusconi mi s’inginocchiò davanti e, baciandomi la mano, mi disse: ‘La prego, ministro, non rovini me e le mie due famiglie!’.“ Oscar Mammì ai più giovani è un volto abbastanza sconosciuto, eppure tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta è stato al centro di una tra le più annose questioni mediatiche che hanno caratterizzato e segnato la vita del Paese. E non si tratta di una esagerazione. Perché toccò a lui provare a mettere ordine in un sistema televisivo in cui l’arrembante Silvio Berlusconi stava consolidando le sue posizioni reclutando personaggi nazional-popolari come Pippo Baudo, provando a insidiare la Rai sul fronte del calcio e dello sport forte anche della proprietà del Milan, rivendicando il diritto alla “diretta”. Insomma, erano gli anni in cui nasceva il duopolio: Rai da un lato e Mediaset dall’altro. E lui, ministro delle poste e delle telecomunicazioni dal 28 luglio 1987 al 12 aprile 1991 in mezzo, nel ruolo di vigile urbano cioè di regolatore del traffico.
Oggi Oscar Mammì, repubblicano, lungamente parlamentare (dal 1968 al 1992) ma anche sindacalista sotto le insegne della Uil (fu uno dei fondatori del sindacato dei bancari, categoria da cui proveniva), si è spento a Roma, la città in cui era nato il 25 ottobre del 1926. Il suo nome resterà per sempre legato a quella legge che nacque tra furibonde polemiche e scontri politici incandescenti e che cercò, per la prima volta, di mettere ordine in un sistema radiotelevisivo in cui era finito da tempo il monopolio della Rai e si sviluppava la concorrenza nella totale assenza di regole (si parlava di far west e di un Berlusconi che di quel caos aveva approfittato costruendo pezzo per pezzo un impero partendo dalla televisione condominiale di Milano 2 per giungere al controllo di tre reti, cioè la stessa “potenza di fuoco” che esibiva l’allora inaffondabile tv di Stato).
Mammì fu al centro di quella battaglia e al suo provvedimento non vennero risparmiate critiche. I commentatori più severi la definirono “legge Polaroid” perché fotografava la situazione che si era venuta a creare trasformando il duopolio Rai-Mediaset da situazione di fatto in situazione di diritto. Il provvedimento fu causa di una crisi di governo quando cinque ministri della sinistra democristiana (tra i quali Sergio Mattarella ma del gruppo facevano parte anche Mino Martinazzoli, Riccardo Misasi, Calogero Mannino e Carlo Fracanzani) si dimisero dal governo il 27 luglio del ’90 per protesta contro contro le pressioni di Bettino Craxi che avevano indotto il presidente del consiglio, Giulio Andreotti, a porre la fiducia. Alla fine la legge fu approvata il primo agosto di quell’anno.
Personaggio eclettico, Mammì, in tarda età, abbandonate le vesti di politico, si trasformò in attore televisivo interpretando il ruolo dell’Innominato nella fiction “Walter e Giada”, ispirata ai “Promessi Sposi”. Era il 2005. Commentò l’esperimento dicendo: “Mi sono divertito. Nella vita ho fatto il bancario, il deputato, il ministro, ora voglio fare l’attore”.
La Uil in una nota lo ha ricordato come “storico rappresentante del Partito Repubblicano e uomo delle Istituzioni” nonché “come uno dei fondatori della categoria dei bancari della Uil”. Il partito repubblicano a sua volta ha interrotto i lavori del Consiglio Nazionale e poi in una nota ha sottolineato come Mammì abbia “rappresentato una lunga memorabile orgogliosa parte della storia del repubblicanesimo italiano… Uomo del dialogo, i suoi rapporti con le altre forze politiche si mantennero sempre costruttivi e collaborativi sicuro della necessità di un interesse nazionale comune a tutti gli italiani che andasse perseguito. L’allontanamento dalla vita politica attiva dipese unicamente dai motivi di salute che si aggravarono alla fine degli anni ’90”.