La Francia al voto: perché Macron può sognare il plebiscito

Domani la Francia tornerà alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Il turno di ballottaggio si svolgerà il 18 giugno. Il movimento di Emmanuel Macron promette di fare il pieno: alcuni sondaggi gli attribuiscono una maggioranza bulgara visto che potrebbe conquistare la bellezza di 400 seggi, ben oltre il limite minimo necessario per governare (289). I socialisti rischiano di affondare e Marine Le Pen dopo aver conteso l’Eliseo a Macron, teme di non riuscire nemmeno a costituire il gruppo parlamentare. Insomma, il vento gonfia le vele del neo-presidente nonostante alcuni intoppi nati da scandali che stanno coinvolgendo la sua maggioranza. Per avere il quadro degli umori che caratterizzano in questa fase la Francia, abbiamo voluto riproporre questa analisti pubblicata sul sito della Fondazione Jean Jaurès. È estremamente indicativa dell’atteggiamento che guiderà domani gli elettori transalpini.

-di CHLOÈ MORIN*-

La sera del secondo turno delle elezioni presidenziali, una parte degli elettori di Emmanuel Macron aveva espresso una serie di dubbi o ha affermato di aver votato per lui per “mancanza di alternative”, “in attesa di vedere.” Lacerati tra il desiderio di credere e l’esperienza dolorosa dei fallimenti precedenti, delle promesse non mantenute e dei problemi accumulati per anni, hanno deciso di accordargli il beneficio del dubbio, decisi a giudicare “sui fatti”

Dopo la campagna per le elezioni parlamentari, i sondaggi promettono a Emmanuel Macron una grande maggioranza. Nonostante le previsioni, le elezioni probabilmente non derogheranno alla regola: una logica conferma e amplificazione dei consensi a favore di chi è già al lavoro, anche da parte di alcuni degli elettori che non avevano scelto Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali. Per capire meglio come una parte dell’opinione pubblica si sia spostata dalla “mancanza di meglio” alla voglia di “vedere di più”, l’istituto “Opinion Way” ha sondato i francesi mediante il metodo “Opinionlive”.

Prima indicazione di questa indagine: la maggior parte degli intervistati francesi considerano questa elezione importante perché punta a confermare o modificare il cambiamento scelto dalla maggioranza nelle elezioni presidenziali. Ora, e questo è l’aspetto fondamentale del ragionamento che la maggior parte francesi sembra tenere oggi, la scelta che viene offerta questa domenica non è tra la politica del presidente e una alternativa – che sia quella di repubblicani, dei socialisti, o anche della France Insoumise o del Fronte nazionale. La scelta è tra la politica di Emmanuel Macron e la “paralisi”, cioè una questione non completamente politica. I francesi non hanno mai considerato la convivenza (tra presidente espresso nelle urne da una maggioranza e capo del governo sostenuto da un’altra, n.d.t.) “costruttiva” per il paese.

Queste elezioni sono anche un po’ più importanti delle precedenti perché per la prima volta, e con sorpresa, i francesi percepiscono che da un paio di settimane “succede qualcosa” … e anche se molti manifestano contemporaneamente un atteggiamento di “saturazione per la politica” e il desiderio che finiscano al più presto queste campagne elettorali infinite.

“Ora Emmanuel Macron è presidente, dobbiamo dargli una possibilità e garantirgli una maggioranza altrimenti perché avremmo fatto tutto questo? Bisogna essere conseguenti”.

“Queste elezioni sono molto più importanti delle presidenziali perché è essenziale non dare pieni poteri al nostro attuale leader, altrimenti penso che si possa andare a sbattere contro il muro”.

“Confesso che di queste elezioni politiche ne ho abbastanza, ma ho intenzione comunque di votare. Siamo alla dirittura finale…”

Pertanto, è una consultazione disordinata e “clandestina”, della quali molti hanno l’impressione di aver sentito parlare molto poco. L’assenza di un tema centrale e di un dibattito polarizzante, l’offuscamento delle divisioni, delle posizioni e delle etichette non fanno altro che aumentare la sensazione di inintellegibilità e confusione. Spesso gli elettori dicono che non conoscono i candidati della loro circoscrizione, e di non aver ascoltato le proposte sulla base delle quali intendono orientare la loro azione. Di contro, il solo messaggio chiaramente inteso da tutti è quelli di En Marche: “Dare una maggioranza al presidente.”

“Credo che questa elezione sia importante, ma a pochi giorni dal primo turno non sappiamo chi si presenta nella nostra circoscrizione”.

“Sono stupito di non aver avuto risposte su questi temi … come se i giochi fossero già fatti. Dove bisogna votare e in particolare per chi? Noi non sappiamo nemmeno chi si presenta. Confusione totale”.

Per la stragrande maggioranza non ci sono dubbi sulla vittoria di En Marche. La sensazione che “tutto è preordinato” contribuisce anche a scoraggiare la maggior parte degli oppositori di Emmanuel Macron e induce alla smobilitazione un certo numero di francesi che, senza accompagnare con un plebiscito i primi passi del presidente, vogliono solo “aspettare e vedere”.

“Nessuna sorpresa, nella misura in cui le linee-guida del lavoro dell’attuale governo sono coerenti con il programma di Monsieur Macron”.

“Un’elezione senza suspense, perché sappiamo che il presidente otterrà la maggioranza”.

Seconda indicazione: l’aspetto essenziale della dinamica della campagna elettorale si basa sul fascino – intatto dopo alcune settimane di esercizio del potere – del rinnovamento, del desiderio di “provare qualcosa di diverso.” Alcuni appaiono addirittura sorpresi dal fatto che questo paese, che molti consideravano sclerotico e immutabile, si sia dato un presidente che finalmente scuote gli apparati politici, e cerca “l’unione dei migliori” evocato da lungo tempo. Un presidente che restituisce, ai loro occhi e quelli del mondo, un certo orgoglio. Tutto evolve come se i francesi, sorpresi dalla loro audacia, volessero ora vedere fino a che punto il loro slancio li porterà. E anche se la loro fame d’audacia e novità non alimenti presso alcuni dei timori. Il rinnovamento rispetterà le aspettative? I nuovi arrivati si riveleranno all’altezza del compito? Domande che rimangono in sospeso in questa fase.

“Sorprendente! Dinosauri dei partiti politici ribaltati, i francesi vogliono il nuovo”.

“La rinascita politica! È finito il tradizionale scontro destra-sinistra! Il pluralismo, il cambiamento!”

“Finalmente un’ elezione degna di questo nome, con i candidati che vogliono davvero riformare la Francia in profondità senza cadere negli estremismi. I francesi hanno scelto un presidente che dà loro gli strumenti per cambiare il modo in cui gli stranieri vedono la Francia”.

“Un grande rinnovamento avverrà, si spera, un nuovo vento fresco soffia sulle nostre istituzioni”.

“Vedremo anche se il panorama politico cambia effettivamente attraverso la non rielezione dei deputati presenti in parlamento da troppo tempo e l’elezione dei candidati di En Marche senza alcuna esperienza della politica”.

“Con quale rischio? I candidati di En Marche non hanno nella maggioranza dei casi alcuna esperienza politica, e saranno loro che dovranno votare le leggi che riguardano il futuro del nostro paese! È come se una azienda di licenziasse tutti i suoi dipendenti e puntasse su debuttanti, pieni di buona volontà, ma senza alcuna esperienza professionale. Molto pericoloso per il futuro di un’impresa, surreale per una nazione!”

Terza indicazione: il terrorismo, molto presente nella cronaca, non è stato vissuto come un problema della campagna elettorale. E i due temi sui quali si è incentrato il dibattito in questi ultimi giorni, vale a dire la moralizzazione della politica e la legge sul lavoro, non sembrano in questa fase in grado di oscurare la spinta alla “conferma” che aleggia su queste elezioni.

In effetti, l’impatto dell’affare Ferrand (Richard Ferrand, segretario del movimento La Republique en Marche, ex socialista, tra i primi ad accordarsi a Macron, ministro per la coesione territoriale, al centro di uno scandalo per un lucroso affare immobiliare realizzato dalla compagna, Sanderine Doucen, n.d.t.) sembra – almeno temporaneamente – essere stato neutralizzato dalla prospettiva della legge messa a punto da François Bayrou. Per quanto riguarda il dibattito sul diritto del lavoro (la loi Travail), comincia a sollevare contestazioni e preoccupazioni reali. Ma la maggior parte dei francesi ancora fatica a prendere posizione, per mancanza di informazioni o di misure specifiche che possano agitare le loro paure. La maggior parte di coloro che hanno espresso la loro preoccupazione per l’impatto che la legge avrà sulla loro vita quotidiana, pertanto rimangono in un limbo, in attesa di essere rassicurati da un governo al quale sembrano disposti ad accordare la propria fiducia.

Pertanto, a parte i più politicizzati – notoriamente quelli del Fronte della Sinistra – non sembrano in questa fase determinati a trasformare le legislative in un referendum sulla Loi Travail.

“Penso che sarebbe stato interessante conoscere la posizione del governo sulla riforma del lavoro prima di parlarne e consentire un vero dibattito sociale. L’unico dibattito che esiste è quello di dare o meno una maggioranza del presidente …”

“Penso che il diritto del lavoro determinerà il mio voto.”

Quarta indicazione: al di fuori dell’esigenza di “dare una maggioranza al presidente per farlo lavorare,” gli argomenti della campagna elettorale, in particolare quelli avanzati dal Partito socialista, dai repubblicani, da France Insoumise o dal Fronte Nazionale … – rischio di egemonia di una partito, eccessi liberisti, strette fiscali… – non hanno destato attenzione. Più che il loro progetto per la Francia, è stata presa in considerazione essenzialmente la volontà dei partiti di opposizione di sopravvivere, un approccio egocentrico che riduce il desiderio di recuperarli.

Inoltre, i pochi argomenti di merito che sono riusciti a imporsi, sono essenzialmente agitati dagli elettori che hanno continuato a muoversi anche dopo le elezioni presidenziali, in una logica di forte opposizione a Emmanuel Macron. Vale a dire, in sostanza, i sostenitori della France Insoumise o del Fronte Nazionale, che vedono in questa consultazione l’ultima possibilità per ostacolare la marcia del presidente.

Alla fine di una campagna elettorale per molti versi confusa e frustrante, sembra che niente e nessuno – né le questioni né le polemiche né i tentativi dei partiti tradizionali di reintrodurre la contrapposizione destra-sinistra o imporre i propri temi come la tassazione o il diritto del lavoro – sia riuscito a far deragliare il movimento avviato il 7 maggio. La elezioni di questa domenica sono con ogni probabilità si inseriranno nella linea di quelle presidenziali: una scelta tra continuità, vale a dire la situazione di stallo, e cambiamento che il presidente è riuscito a realizzare contro tutti gli apparati politici esistenti. La scelta sembra ovvia: “Dobbiamo sapere quello che vogliamo:. Continuità o cambiamento, avendo come rischio che tutto questo possa funzionare”. La maggioranza, dunque, andrà a votare per fare in modo che il presidente abbia le mani libere, per “permettergli di muoversi”. O per astenersi e “aspettare per vedere quel che succede”, per dargli la possibilità di dimostrare quello che sa fare. Alcuni già avvertono: dopo tutto questo, non ci saranno “più scuse in caso di fallimento”

*direttrice dell’Osservatorio della Fondation Jean Jaurès. Questa analisi è apparsa il venerdì 9 giugno sul sito della Fondation e contemporaneamente su Paris Match

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