Nell’ultimo fine settimana il dibattito politico italiano ha raggiunto vette culturali mai toccate negli ultimi quasi 160 anni, cioè dall’Unità in poi. Un arruffapopolo, una sindaca in versione starlette da cabaret, una ministra che ha deciso di darsi alla ramazza dopo essersi dedicata con scarso successo alle riforme e un “leader” che ama se stesso molto più di quanto non ami la politica, hanno organizzato un vero e proprio dibattito sul futuro della Capitale intorno ai cassonetti. Qualcuno potrebbe anche dire: vista la qualità delle loro proposte e gli esiti delle loro scelte di governo, trattandosi comunque di “rifiuti”, quello è il luogo giusto per avviare un solido e produttivo confronto.
L’Arruffapopolo (Beppe Grillo) ha organizzato una registrazione per spiegarci, davanti al mare della sua Liguria, a noi che nella città di Roma viviamo, che tutto va bene da queste parti e che ciò che va male è colpa di quelli che hanno preceduto la “sua” sindaca che, in ogni caso (e a scanso di equivoci soprattutto per le persone deboli di memoria) è lì, in Campidoglio da un anno. La sindaca (Virginia Raggi), a sua volta, ha improvvisato un video dal tono cabarattistico (dal maestro all’allieva), ricco di calembour, che la rende oggettivamente degna più del Salone Margherita che della sala Giulio Cesare (anche se poi, nel ruolo sembrano più adatte le Pamele Prati e le Valerie Marini dei tempi belli). La ministra (Marianna Madia) ci ha raccontato a tutti noi, che versiamo solo per la monnezza, più di trecento euro all’anno, i piaceri del senso civico (avevamo bisogno di una “maestrina” da diporto e da saggina). Mentre il leader si è fatto immortalare nel faticosissimo atto di infilare in un bustone di plastica una bottiglietta di plastica vuota da mezzo litro. Momenti di straordinaria politica.
Purtroppo l’estensore di questo pezzo non ha la fortuna di abitare nei quartieri visitati dalle solerti squadre dell’Ama organizzate dalla sindaca-starlette e dall’arruffapopolo genovese; né in quelli (che poi sono i medesime) gratificati dalle ramazze ministeriali. Infatti, la sporcizia ha continuato, anche nel week end, a farla da padrona nei giardini (?) circostanti, negli spartitraffico decorati con erba essiccata, intorno ai cassonetti (quando non vengono sdraiati per terra a conclusione della manovra per svuotarli ) mentre contemporaneamente i soliti “rovistatori” (che poi con sprezzo delle regole igieniche organizzano sui marciapiedi improvvisati mercatini con i “fondi” della “monnezza” riutilizzabili) hanno continuato indefessi la loro opera (che normalmente si conclude con la dispersione tutto intorno di ciò che non è recuperabile e vendibile).
Ognuno, insomma, si è fatto il suo spot. Mentre invece sarebbe tanto di guadagnato se l’arruffappopolo genovese parlasse di quel che sa e di quel che vede realmente; se la sindaca ci spiegasse perché mai solo qualche giorno fa la città, nel disinteresse generale dell’amministrazione, è stata paralizzata da uno sciopero dei mezzi pubblici e per quanto tempo ancora i cittadini che per andare al lavoro prendono i mezzi Tpl devono sopportare al mattino di ritrovarsi senza mezzo di trasporto perché nel frattempo gli autisti, da mesi non pagati, hanno deciso, giustamente, di entrare in agitazione; perché mai, insomma, la città con lei al comando continua a non funzionare esattamente come non funzionava sotto Marino, Alemanno e Veltroni (inutile andare ancora più indietro nel tempo perché gli esempi di buona amministrazione qui a Roma si contano sulle dita di metà mano). E ci piacerebbe che il leader (Matteo Renzi) innamorato di se stesso (insieme ai suoi adulatori in servizio permanente effettivo) ci raccontasse finalmente come pensa di rimettere in equilibrio i conti pubblici che fanno acqua da tutte le parti, in quale maniera, dopo il fallimento del Jobs Act, immagina di rilanciare l’occupazione e la crescita (la più bassa d’Europa) e, dato che si trova, considerato il fallimento del famoso anticipo pensionistico, se la sua mente è attraversata da un’idea luminosa per provare a raddrizzare le storture prodotte dalla Fornero. Saremmo anche grati all’arruffapopolo se ci spiegasse, pallottoliere alla mano, in che modo lui e i suoi giovanotti di belle ma non ancora realizzate speranze, pensano di trovare i famosi diciassette miliardi per finanziare il reddito di cittadinanza perché, a occhio e croce, qualcosa ci sfugge.