I gendarmi della memoria -2-

 

Mussolini

-EDOARDO CRISAFULLI- 

La vulgata antifascista e resistenziale un senso politico l’ha avuto finché il PCI era radicato nella società italiana. Oggi è anacronistica: l’ethos democratico degli italiani è un fatto acquisito. Chi ha come orizzonte ideale l’anti-totalitarismo, non deve temere temere un’opera di revisione storica. Dopo settant’anni di democrazia liberale siamo maturi per guardare in faccia la realtà: moltissimi italiani – quanti, esattamente, non lo sapremo mai – furono fascisti. In varie gradazioni: chi per poco, chi per molto; chi per un motivo, chi per un altro; chi aveva gli strumenti per capire e chi no. Ammettere questo fatto storico sminuire il valore ideale dell’antifascismo clandestino – esperienza di una minoranza illuminata – confluito nella Resistenza armata del ’43-‘45. E men che mai implica riabilitare il fascismo. Il fatto che Mussolini abbia fatto alcune ‘cose giuste’ – l’apprendistato socialista gli fu utilissimo – non vuol dire che esista un totalitarismo buono. Del resto, è vero anche l’inverso: gli errori dei leader democratici non inficiano il valore ideale della democrazia.

I fascisti – o simpatizzanti/fiancheggiatori del regime – erano peraltro distribuiti omogeneamente. Non si capisce, quindi, la distinzione tra intellettuali e gente comune. Sembra che il consenso al Duce da parte di quest’ultima fosse più grave: contraddice il mito populista-marxista del ‘buon operaio’ che, dotato di una indelebile coscienza di classe, anela alla rivoluzione proletaria anche quando indossa la camicia nera. Casomai è il contrario: sono gli intellettuali quelli che avrebbero dovuto capire la follia fascista. E invece voltarono la testa dall’altra parte, quando non furono addirittura collusi col regime. Dodici su mille e duecento, l’1 per mille, i docenti universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al Duce nel ‘31. Certo, fra questi c’era chi, incoraggiato da Togliatti, giurò per poter continuare la fronda antifascista. Ma il pensiero corre ai dodici coraggiosi, che, per un sussulto di dignità, persero tutto. Ancor più grave il silenzio degli uomini di cultura nel ’38, di fronte alle infami leggi razziali anti-ebraiche. Se fior fiore di intellettuali italiani, i futuri ‘redenti’, inneggiarono al Duce – al pari di influenti personaggi stranieri (Churchill e Pound, per esempio) – non si capisce perché la gente comune avrebbe dovuto covare sentimenti ribellistici e antifascisti. La storia linguistica dell’Italia unita di De Mauro spiega bene cos’erano gli italiani in quel tempo: in buona parte contadini semi-analfabeti che parlavano a malapena l’italiano. Quale educazione democratica avevano ricevuto? Cosa aveva fatto per loro lo Stato liberale pre-fascista, se non imporre tasse sul macinato e la coscrizione obbligatoria? Non c’è da meravigliarsi se i contadini acclamarono il Duce che prometteva pane (le battaglie per il grano…) e terre in Africa (il colonialismo straccione…). Così come è solo naturale che, con i primi rovesci militari, con i bombardamenti alleati e il cibo razionato, la popolarità di Mussolini svanisse di colpo.

Qui non stiamo denigrando il carattere nazionale: gli italiani sono esseri umani al pari degli altri europei – e qualunque altro popolo avrebbe agito in modo simile in quelle travagliate condizioni politiche e socio-economiche. Anche i francesi hanno la loro bestia nera: il collaborazionismo del Governo Vichy. Si è poi scoperta l’acqua calda, ovvero che gli abitanti delle isolette di Guernsey e Jersey, le channel islands a poche miglia dalla Normandia, e quindi occupate dai tedeschi nel ’40, si comportarono esattamente come i francesi: tra quei figli dell’indipendente e orgoglioso popolo britannico vi furono sia resistenti che collaborazionisti. Al di fuori della propaganda, non ci sono popoli di eroi o di vigliacchi. L’Europa era abitata da gente ‘normale’, che voleva sopravvivere, e che cambiava opinione politica sulla base di un parametro umanissimo: oggi riesco a mettere la minestra e il pane in tavola?

Non abbiamo bisogno di inventarci una storia patria eroica. Manipolare i fatti è sempre un errore. È il modo migliore per far riaffiorare apologie (più o meno travestite) del fascismo. Se continuiamo a bacchettare gli storici ‘revisionisti’ in nome di dogmi ideologici, a qualcuno verrà il dubbio che Mussolini fosse un dittatore all’acqua di rose. Non c’è più nessuna reputazione da difendere: i redenti sono quasi tutti passati a miglior vita. Liberiamoci allora una buona volta dai fantasmi del nostro passato. L’unica cosa che ha ancora senso chiedersi è perché gli italiani si fecero abbindolare dal culto mussoliniano. Solo se capiamo questo, eviteremo che il tragico errore si ripeta. Da noi, o altrove. Ben vengano, dunque, gli studi come quello di Duggan.

 

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