-di CESARE MILANESE-
Che cos’è la politica? A questa domanda, Pietro Nenni dava la seguente risposta: “La politica è la politica estera”. Una massima aurea, centrale, fondamentale, che dovrebbe costituire la base concettuale di chi opera, a qualunque livello, nella sfera politica. Perciò nozione costitutiva e inderogabile di chiunque intenda proporsi come soggetto politico. Sta nella capacità di saper concepire la politica estera come principio di fondamento della politica, l’attitudine di un individuo politico di porsi veramente come tale, cioè come statista. Tutto il resto, in realtà, è pratica di gestione amministrativa, alla portata di chiunque. La quale gestione non serve a granché (cioè non è più veramente azione politica) se svincolata dal fine imposto da un disegno concepito ed eseguito nell’ambito di ciò che s’intende come politica estera. Alla quale, pertanto, andrebbe meglio definita con il termine di Weltpolitik, di storica memoria, a sua volta connessa con la Realpolitik, che per forza di cose si richiama da sempre all’essenza della politica come tale.
Qui, questa terminologia non viene adoperata a caso: infatti, è una citazione che riporta alla tradizione che, nella storia della modernità, riconduce alla “germanità” (tra i padri putativi della stessa, per esempio, detto en passant, va ricordato un Otto von Bismarck). Pietro Nenni, quasi certamente, non si sarebbe trovato d’accordo nel riconoscersi in una tale ascendenza, ma la sua ricusazione sarebbe dovuta principalmente allo scarto differenziale ideologico riguardo alla differenza di determinati “contenuti” storici, ma l’identità di sostanza, in quanto alla “forma” di definizione della politica, è la stessa.
La storia, come si sa, procede per differenze e per coincidenze. Ebbene, su questo punto, le ragioni di differenza (tra Bismarck e Nenni, più che evidenti, sotto molti aspetti) giocano, invece, per la coincidenza. Come ben si sa, l’astuzia della storia, è artefice di risultati, apparentemente incongrui, di questo genere. Ma così è.
Vogliamo dire, saltando del tutto alcuni passaggi logici dovuti, ma perfettamente intuibili, che oggi più che mai il precetto nenniano dalla politica come politica estera viene a coincidere con un altro famoso precetto nenniano, quello della politique d’abord. Oggi più che mai, in tempi di crisi di diverso genere (politica, economica, sociale, culturale: in senso planetario, infatti, Welt), i due capisaldi “formali” di Nenni (la politica prima di tutto e pertanto la politica estera, perché soprattutto la politica estera è essenzialmente la politica), costituiscono un criterio cui ricorrere e cui attenersi. E’ un suggerimento di metodo, nient’altro.
Riassumendo, Realpolitik come Weltpolitik, soprattutto nel continente Europa: la nazione-supernazione auspicata e congegnata, virtualmente, per diventare, se possibile unitaria. Non possibile, secondo Giovanni Sartori, evidentemente euroscettico, perché un’unità politica senza unità linguistica (è questo il suo parere) non può dar luogo a un’entità politica unitaria, proprio perché non fa realtà di Stato, perciò politica in senso vero e proprio. Bel rebus, gran rebus.
Tuttavia, l’area europea, essendo geopoliticamente unitaria per geografia e per storicità, sta comunque elaborando un proprio schema entro cui si rende possibile la convergenza da parte dei singoli Paesi-Stato che la costituiscono. E tale schema, improntato come linea di condotta di difesa contro il dilagare disgregante della crisi globalizzata e globale, pare orientarsi “spontaneamente” verso il modello adottato dalla Germania (quella della Merkel), la quale Germania, non caso, occupa la posizione centrale, anche fisica, del continente – Europa, costituendone il baricentro. E tale modello “di difesa” (per ora, in questa fase congiunturale, non c’è che questo modello politico in atto), a guida Realpolitik “alla tedesca”, consiste nell’adozione di una manovra che si potrebbe definire dell’arrocco: la messa in sicurezza (sicurezza d’austerità) delle varie economie dei vari Paesi-Stato, anch’essi tutti, per l’appunto, organizzati “alla tedesca”. Linea di condotta che la Germania adotta e suggerisce (leggasi pure “impone”, per via diretta e indiretta) a tutte le altre “nazionalità” europee.
Se così è, l’operazione arrocco si configura come un progetto di messa in atto di una politica di raccordo tra i Paesi-Stato d’Europa: una che presume la messa in atto da parte di tutti questi di un ordinamento politico diciamo “alla svizzera”. Si noti, i Paesi, confinariamente concomitanti con la Germania (diventata in realtà una “Grossa Svizzera”) sono tutti delle varianti della nazione Svizzera. Tutti Paesi che si mettono in “sicurezza d’arrocco”, manovrando le “chiuse” dei ponti levatoi, ora abbassandoli, ora chiudendoli, secondo un andamento di flusso o riflusso a compartimenti stagni. Pura Realpolitik da ingegneria meccanicistica, a guida germanica. Strumento di governo di questo processo intra moenia dei vari Paesi è l’adozione delle Grosse coalizioni (in Italia dette delle larghe intese): processo tecnicamente possibile perché storicamente inevitabile, sembra. Pertanto obbligante. In Italia, infatti…
Sta di fatto che l’”operazione arrocco” per l’avvio della trasformazione dei Paesi europei in Svizzere compartimentali caratterizza ciò che sta accadendo, per attrazione gravitazionale, soprattutto nei Paesi europei che gravitano sulla Germania: i Paesi scandinavi, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Svizzera (la quale ovviamente è già svizzera per conto suo da prima), l”Austria (altra Svizzera da tempo), la Slovenia, l’Ungheria, la Cechia, la Slovacchia, inglobando a spirale la Polonia e lambendo l’Ucraina, la Bielorussia, la Lettonia, l’Estonia, la Lituania…
Ebbene, se non è questo lo schema della trasformazione della Realpolitik (alla tedesca) in una Weltpolitik (alla tedesca), alla “conquista” dell’Europa…
Tutto ciò mentre l’Europa del Sud sembra essere esclusa da questo schema, senza peraltro avere un proprio schema o paritetico o alternativo a quello germanico, del quale, peraltro, deve adottare di volta in volta le direttive procedurali (esempio il rigorismo della BCE e il “modulo” governativo delle coalizioni a larghe intese tra forze politiche che di per sé sarebbero oppositive: Italia docet). Ma Francia, Spagna, Portogallo, Grecia…, in sostanza, come l’Italia, finora: in conseguenza del keine Realpolitik, keine Politik; perciò nisba Weltpolitik.
Credo che non sia nemmeno il caso di continuare con tal elenco, che vale come indicazione riassuntiva del rinvio al ripensamento dei concetti da “politica pura”, ben individuati, a nostro parere, dai due precetti base di Pietro Nenni (da ripensare): se la politica è la politica estera, allora la politica “pratica pura”, prima di tutto, risalendo anche alla politica come “scienza pura”. E proprio a questo proposito, non siamo forse nell’anno cinquecentenario del Principe di Niccolò Machiavelli? Come a dire, uno sguardo su Nenni come politico, anche indipendentemente da Marx? E perché no.
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