Uno sconfitto, nessun vincitore

imagesLo sconfitto è sicuramente il Movimento 5 Stelle: in appena tre mesi è sceso, nei 16 capoluoghi di provincia dove si è votato domenica scorsa, da un trionfale e, soprattutto per loro, inaspettato 26,3% all’11%. La protesta e la richiesta di novità che avevano caratterizzato il voto delle politiche, si sono rifugiate nell’astensione, vista l’incapacità di tradurre il “tutti a casa”, in una progettualità politica e programmatica: la discussione, infinita e noiosa, su diarie e scontrini ha ridotto il “nuovo” ad una dimensione burocratica, che ha fatto fuggire gli elettori. E anche le reazioni al voto non sono certamente incoraggianti: la colpa è di giornali e televisioni che ci trascurano (ma non era la rete che doveva diffondere il verbo, superando i vetusti mezzi di comunicazione “tradizionali”?); il voto delle amministrative non può paragonarsi a quello delle politiche (e qui ritroviamo, alla faccia dell’antipolitica, il classico arrampicarsi sugli specchi dei partiti, che di fronte alle sconfitte elettorali sono sempre pronti ad utilizzare questa giustificazione). E poi la perla finale di Grillo: gli italiani che non ci hanno votato sono collusi con questo sistema politico che li garantisce: i buoni ci appoggiano, i cattivi votano PDL e PD-L… Non è uscita sconfitta, come si pensava, la formula del governo delle larghe intese: il PD temeva di uscirne ulteriormente penalizzato e invece in tutti i capoluoghi, anche quelli storicamente più ostili (Brescia e Treviso) o quelli dove per disaffezione e scandali si temeva il peggio (Roma e Siena), il candidato democratico ha già vinto o si presenta al ballottaggio in testa.

Il PDL ha più o meno mantenuto i voti delle politiche: e se è vero che Berlusconi ha tenuto un profilo basso in campagna elettorale, i sondaggi (ormai sempre più da prendere con le molle) lasciavano presagire un risultato migliore; hanno guadagnato consensi sia la sinistra che la destra all’opposizione del governo Letta, sia pur quasi sempre, nell’ambito delle coalizioni presenti alle politiche di febbraio, mentre la Lega, proprio nel momento in cui governa le tre più importanti regioni del Nord, diventa numericamente marginale.

E poi l’astensione, il cui dato è stato fortemente condizionato dal caso Roma: senza l’enorme fuga dai seggi nella Capitale, l’affluenza sarebbe stata del 67% che è mediamente quella del voto amministrativo: cosi è scesa al 62%.

Ma il fatto che la maggioranza dei cittadini romani si siano disinteressati al voto per il sindaco (sommando alle astensioni le schede bianche e nulle, si arriva al 51,3%) è l’ennesimo segnale d’allarme: guai se i partiti, e il PD in particolare che continua ad abusare della pazienza dei suoi, nonostante tutto, affezionati elettori, pensassero che questa tornata elettorale ha segnato una loro ripresa: se non si ritorna a fare politica ed elaborare idee e progetti, il risveglio sarà ancora più brusco di quello dello scorso febbraio.

 

Alfonso Isinelli

 

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