Alluvione nelle Marche: un disastro annunciato

Maria Anna Lerario  –

L’alluvione nelle Marche è l’ultimo di una lunga serie di eventi atmosferici imprevedibili e catastrofici degli ultimi venti anni. 

E già questo deve far riflettere. 

Ci ritroviamo per l’ennesima volta a contare danni e vittime, come se non fossimo già tutti a conoscenza delle difficoltà dei territori italiani, da mettere in sicurezza. 

Il dissesto idrogeologico del Paese non è una novità, ma una certezza sconcertante di cui siamo consapevoli. 

I fiumi di risorse stanziati, non ultime quelle del PNRR (15 miliardi di investimenti per contrastare una situazione di oggettiva criticità) non sono stati in grado di arginare il fiume Misa. Un pericolo fin dal Medioevo.

Anche in relazione alla rivoluzione ambientale di cui tanto si parla, ma che poco vediamo attuata, è fondamentale mettere in sicurezza tutti quei territori italiani che storicamente sono soggetti a eventi naturali di portata eccezionale. 

Intervenire dopo i disastri e le tragedie non ha più senso: non riporta in vita le vittime e costringe a stanziamenti di denaro molto più pesanti rispetto alla logica della prevenzione.

Nelle Marche, poi, territorio soggetto a catastrofi simili (già 8 anni fa un altro alluvione aveva messo in ginocchio la regione) questo approccio non è più tollerabile. 

Piani di ricostruzione, progetti di risanamento, valutazioni ambientali e tante risorse sono finite nel buco nero della burocrazia – e chissà cos’altro –  lasciando sostanzialmente inalterato il rischio di incorrere nuovamente in situazioni tanto drammatiche e dolorose. 

Ci ritroviamo, insomma, per l’ennesima volta, a tirare le somme di un evento meteorologico inatteso, testimoni passivi di una triste ridistribuzione delle responsabilità. 

Quello che non si riesce ancora a superare è l’impasse operativa. Quel passaggio essenziale, cioè, che vive tra le parole e i fatti. Quello che crea, trasforma, ripara e previene. La mancanza assoluta di un’azione concreta di prevenzione e di messa in sicurezza del territorio è l’unica reale responsabile delle vite umane perse e del patrimonio distrutto. 

Una responsabilità che qualcuno dovrebbe avere il coraggio di prendersi, riparando fin d’ora a danni futuri, se non vogliamo ritrovarci improvvisamente protagonisti di realtà distopiche. 

Non possiamo, né dobbiamo, abituarci ai Day After Tomorrow. 

N°66 del 20/09/2022

 

 

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