Venti di destra, molti dall’Est, su una sempre più fragile democrazia

Maurizio Fantoni Minnella –

In questa debacle politica annunciata dove le forze in campo si alambiccano su possibili strategie e posizionamenti nel governo che verrà e all’opposizione, da più parti ci si interroga su quali potranno essere i possibili pericoli per la nostra già fragile democrazia nel caso la vittoria elettorale fosse assegnata al partito di Giorgia Meloni, quello con la fiamma tricolore, per intenderci. Dico fiamma proprio per porre l’accento su un elemento identitario di quella destra di chiara matrice neofascista che a tale simbolo non ha per nessun motivo voluto rinunciare. E del resto l’accusa di conservatorismo o di eccessivo attaccamento ad un simbolo del passato, di un partito, il Movimento sociale italiano, che non esiste più dal 27 gennaio del 1995, giunge proprio da coloro che con troppa facilità hanno proceduto allo scioglimento del Partito comunista italiano e successivamente all’eliminazione della falce e martello, un simbolo che più storico non potrebbe essere. Crediamo davvero che basti eliminare un simbolo da una bandiera per esorcizzare il pericolo di una deriva antidemocratica? Nel caso della destra meloniana, è verosimile e dunque possibile dare una risposta negativa: in primo luogo perché l’Europa sembra percorsa se non travolta da forti venti di destra (in particolare paesi ex socialisti come Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia, Ucraina e Russia, ma anche la civilissima Svezia che alle ultime elezioni manda l’estrema destra al governo!), una destra in larga misura populista e nelle sue frange più estreme persino filo-nazista e antisemita.

In secondo luogo perché il potenziale elettorato di Fratelli d’Italia non sembrerebbe affatto preoccupato dalla presenza della fiamma tricolore. Al contrario desta stupore, ilarità e perfino sdegno il fatto che alcune formazioni politiche si presentino alle elezioni con il simbolo della falce e martello. Ad uno sguardo superficiale sembrerebbe una situazione paritaria ma invece non è affatto così: proprio in virtù del vento che soffia a destra, rischiando ogni volta di trasformarsi in un tifone difficile da controllare anche per un’Europa troppo attenta ai flussi e alle oscillazioni dell’economia mondiale, si è compreso e imposto ovunque il fatto che il nemico più recente e vicino fosse stato (ma adesso non più) il comunismo mentre alle destre verrebbe offerta un’altra chance di governance (archiviati con disinvoltura i crimini del fascismo, gli orrori della guerra, e   il tabù che gravava sulla destra neofascista), purchè le sue azioni politiche restino entro i parametri della democrazia. Intanto abbiamo finalmente compreso come il binomio dittatura-democrazia siano i termini di un dibattito politico che li farebbe addirittura speculari proprio nell’ostinato manicheismo del mainstream politico impossibilitato a compiere un’analisi più complessa di due opposte forme di governo. Ma mentre la dittatura è stata passata al setaccio in tutte le sue sfaccettature, attribuendola quasi sempre a paesi nemici dell’America, la democrazia sarebbe, invece, un diritto acquisito, un feticcio da sbandierare nelle situazioni più difficili e drammatiche, e ormai da decenni, per giustificare interventi militari in paesi stranieri rubricati, appunto, come “nemici della democrazia”. Non se ne vuole analizzare il funzionamento, il fine ultimo di tale forma e i reali rapporti con il popolo sovrano che ne dovrebbe beneficare in tutti i sensi.  Sarebbe sufficiente una crocetta su una scheda elettorale (atto che, guarda caso, ricorda la richiesta di firma agli analfabeti!), per garantire il reale funzionamento di un sistema democratico. Lo aveva compreso assai bene Giorgio Almirante che da segretario ammirato del Msi (acronimo, non lo si dimentichi, di Mussolini sempre immortale) sapeva di dover agire ormai dentro le strette del sistema repubblicano e democratico per riuscire un giorno, ma dall’interno, a sovvertirlo, mediante il consenso delle masse, a suo dire, desiderose di ordine e stufe di “vivere in un sistema dominato dai comunisti” (!). Democrazia quindi, come cavallo di troia delle destre per espugnare il palazzo per vie democratiche. Dove non riuscì mai ad arrivare Almirante con il suo fiuto politico e la sua popolarità, troppo impegnato a far sbollire gli animi delle frange più estremiste e bombarole che lavoravano a fianco di pezzi deviati dello stato italiano, ma nemmeno il suo delfino Gianfranco Fini, potrebbe averlo raggiunto la pasionaria della Garbatella. Quindi l’operato di Giorgia Meloni, a prescindere da certe dichiarazioni di comodo e alle contingenze politiche, riguardanti l’equivoco del populismo che, rispetto a una sinistra vera inesistente, garantirebbe particolare riguardo verso le classi sociali più deboli, deve inquadrarsi dentro una tradizione neofascista iniziata nel 1948. Fatta eccezione per l’eliminazione del nemico storico numero uno, il comunismo, le parole d’ordine sono sempre le stesse: Dio patria famiglia, omofobia, politiche sicuritarie, intolleranza verso le diversità e le politiche migratorie, razzismo e respingimento dei migranti e tutto ciò che prevede il copione di una destra identitaria che vuole, anzi, pretende di rifarsi il trucco per sembrare più accettabile alle masse popolari deluse e sopra tutto, il fantasma sempre evocato e finora mai realizzato del presidenzialismo. Più come lo intendevano Edgardo Sogno, Licio Gelli e la P.2 che sul modello francese?…

A un giovane gay che era riuscito a raggiungere il palco dove la leader stava parlando e a salirvi, e che la interrogava sulla sua posizione verso l’omosessualità, Giorgia Meloni non ha risposto in merito alla domanda, ma ha preferito, lasciandolo parlare per qualche minuto, non solo mostrare la sua benevolenza, segno di democrazia, ma ribadendo il proprio diritto democratico a dissentire rispetto alle ragioni espresse dal giovane interlocutore, tuttavia lasciando intendere a chiunque sia in grado di decostruire taluni dispositivi del linguaggio mediatico, che una volta giunta al potere, la nuova presidente del consiglio sceglierà la via  più giusta, quella dettata dal suo elettorato, ossia, come da copione, la demonizzazione di chi non può rientrare nell’idea di famiglia tradizionale. E che nessuna parli di razzismo!!!……

N°67 del 24/09/2022

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