Lasciatemi divertire! A tu per tu con Alessandro Miele, autore e conduttore del fortunato spettacolo digitale Slive show. Lo show che “non” funziona

– di PIERLUIGI PIETRICOLA

 

Alessandro Miele è un giovane e brillante attore-conduttore. Da anni attivo nei teatri d’Italia e nel cinema, ha dato vita a Marzo ad uno spettacolo digitale, divertente garbato e di successo: Slive Show. Lo show che “non” funziona. Si è appena conclusa la prima stagione e fra qualche giorno – il prossimo 21 Aprile a partire dalle ore 19:00 – inizierà la seconda. La si potrà seguire sulla pagina Facebook di Talenti Scontati.

Sul blog avevamo già parlato di questo programma, raccontando qualche personaggio e qualche esilarante vicenda cui abbiamo assistito nel corso delle varie puntate.

Questa volta abbiamo conversato con l’anima, l’ideatore e il conduttore di Slive Show.

 

Caro Alessandro, innanzitutto come stai?

Bene, debbo dire. Psicologicamente Slive show sta tenendo su il morale a tutti noi che lo facciamo. È un’idea alla quale pensavo da tempo. Ho sempre voluto realizzare uno spettacolo interattivo e che fosse a metà strada fra il live e il digitale. La situazione causata dal coronavirus mi ha permesso di non tardare troppo e anche di avere la disponibilità delle persone a partecipare. E tutti insieme abbiamo creato le dinamiche che hanno poi dato vita allo spettacolo.

Qual è stata l’idea alla base di Slive show?

Avere molti talk show contemporaneamente, con i personaggi che dicono la loro su un certo argomento. Privilegiando, naturalmente, l’ironia. La formula che volevo realizzare era quella di uno spettacolo vero e proprio. Digitale nella forma, ma con le caratteristiche di uno spettacolo classico: con i partecipanti che interagiscono fra loro e con me che sono il conduttore.

Hai impiegato molto a realizzare questo spettacolo?

L’idea era già strutturata graficamente e nella mia testa. Quindi siamo partiti subito. Man mano ci siamo migliorati di puntata in puntata. Non a caso il titolo del programma è Slive show. Lo show che “non” funziona. Perché qualsiasi cosa che non va, ogni difetto, rientrano nella coerenza dello spirito del programma espresso nel titolo.

Qual è la cosa cui presti più attenzione nel corso del programma?

Sono attentissimo al ritmo. Per me è un fattore fondamentale e che avverto molto. Se c’è qualcosa che crea rallentamenti, cerco subito di intervenire per riportare l’andamento consono a quello di uno spettacolo brillante.

Il pubblico ha mostrato di gradire molto questo spettacolo.

Sì, è vero. Ci siamo accorti che la formula funziona e che da parte del pubblico c’è un’interazione viva e attenta. Non solo le persone si sono via via affezionate al programma e a chi vi partecipa, ma addirittura il numero di chi ci segue è andato aumentando. Per questo abbiamo deciso di fermarci un attimo: per meglio strutturare la seconda stagione. Avendo raggiunto un buon livello professionale, vogliamo migliorare sempre di più.

Da un punto di vista autoriale, come scrivete le puntate?

Le puntate della prima settimana le organizzavamo così: ci mettevamo d’accordo su un po’ di cose e poi andavamo in onda. Non si scendeva tantissimo nei dettagli. Andando avanti, con l’ingresso dei vari personaggi, la scena dello spettacolo e il suo livello si sono ampliati di conseguenza. Quindi si è reso necessario, prima di andare in onda, particolareggiare le varie dinamiche. Perciò io mi mettevo in contatto con tutti singolarmente, da autore/regista ma sempre in collaborazione, per costruire il numero. Senza, però, provarlo. Non volevo venisse meno la spontaneità. Noi imbastiamo il canovaccio entro il quale improvvisare e che di puntata in puntata sviluppiamo. E questo avviene fino a quando sento che funziona. Quando avverto, come dicevo prima, che il ritmo non è più tale da divertire e creare attenzione, allora si ristruttura il canovaccio. E questo l’ho fatto con Sport Zeta e Marco Vannucci in particolare.

Con Marco Vannucci c’è, diciamolo, un rapporto particolare…

Con Marco spessissimo ci è capitato di ridere durante le nostre gags. E questo ho avvertito che piace anche al pubblico, nonostante la realtà sia quella digitale e non quella reale.

Però c’è da dire che lui non ti ha agevolato moltissimo nel lavoro…

Purtroppo debbo dire che il caro Marco Vannucci mi ha creato una situazione un po’ complicata da gestire.

Spiegaci perché.

Perché io metto in piedi uno show, chiamo una persona in qualità di cantautore per dare allo spettacolo un momento musicale; e lui che fa? Il giocherellone. Non solo, ma il più delle volte non ha proprio cantato.

E come mai?

Forse perché ha avvertito che lo spettacolo funzionava e quindi ha fatto un po’ lo strafottente, sia con me che con il pubblico. Nonostante questo, da parte degli spettatori non è mai venuta meno la simpatia nei suoi confronti.

Ed è ciò che gli ha permesso di ribellarsi al conduttore.

Difatti non solo non ha quasi mai assecondato la mia richiesta di cantare. Ma quando gli ho imposto di dare le dimissioni dal programma per evidente inadempienza, me lo ha sfilato di mano con una sorta di magia nera!

Solo per un giorno però.

Sì, perché sono riuscito a riprendere in mano la situazione studiando uno stratagemma.

Però lo hai fatto finire in galera!

Non sono stato io! È stata la legge del mondo digitale che lo ha processato e condannato.

In un giorno solo?!?

Eh sì. Nel mondo digitale la velocità è fondamentale. In internet le cose avvengono in un attimo. E quindi il buon Marco Vannucci adesso è in carcere. Anche se…

Anche se?

Anche se nella parte finale dell’ultima puntata c’è stato qualche problema tecnico. Sono stato boicottato in modo misterioso. Uno strano personaggio, tale Francois che mai si è concesso alle telecamere, ha architettato un piano per liberare Marco Vannucci. E nella sigla di chiusura ho visto proprio Marco Vannucci con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

E che farai adesso?

Adesso debbo capire in che modo verrò attaccato e quindi sventare ogni piano criminoso architettato alle mie spalle. Questo è una sorta di ammutinamento che coinvolge un po’ tutti: Mago Marte, Sport Zeta e il papà di Marco – Antonello Vannucci. Non dico che si siano messi contro di me, però si sono avvicinati a Marco. Quindi vorrei dire a tutti loro: state attenti!!!!! Perché mi difenderò.

Slive show tornerà dal 21 Aprile prossimo.

Sì, e andremo in onda il martedì, il mercoledì e il giovedì per quattro settimane. Ci sarà come sempre una parte dedicata all’informazione, trattando temi interessanti affrontati da persone non famose ma competenti, le cui doti innovative rivestono un’importanza particolare. Il tono non sarà eccessivamente formale. Poi, come di consueto, la seconda parte sarà di intrattenimento.

Dopo questa seconda stagione, cosa succederà?

Siamo orientati a dar vita ad una vera e propria produzione legata a questa dinamica di varietà digitale. Il format è già registrato e c’è un progetto per farlo conoscere. Alcune voci, da parte di chi è interessato a far crescere l’idea, già sono arrivate. Quindi continueremo. Questo, almeno, è il nostro impegno. Le prospettive ci sono.

Parliamo di te. Tu sei un attore.

Io sì, sono un attore di teatro. Finito il liceo ho iniziato a lavorare nel cinema, sia come figurante che in piccoli ruoli in film americani, serie e produzioni italiane. Poi c’è stato un cambiamento radicale. Il cinema non mi bastava più. Avevo bisogno di lavorare su un palcoscenico. Anche perché io fin da piccolo mi sono esibito, ogni luogo era per me un palcoscenico. Quello che mi è sempre piaciuto è il rapporto vivo con il pubblico, quell’emozione che si prova.

Hai frequentato una scuola, un’accademia?

No, non ho fatto un’accademia teatrale sul tipo di quelle che impegnano dalla mattina alla sera. Essendomi, al tempo, anche iscritto a ingegneria non avevo modo di frequentare una scuola di recitazione così vincolante. Per fare esperienza, decisi di fare le stagioni in Valtur come animatore.

Cos’hai trovato nel mondo dei villaggi che ti ha arricchito?

Ho trovato un palcoscenico che inizia al mattino e termina la sera. E penso che sia una delle esperienze migliori, sia per fare la gavetta che per affinare le proprie capacità espressive e performative. Il palcoscenico dei villaggi mi ha dato l’opportunità di misurare, esaminare e valutare i miei strumenti recitativi.

Cosa sentivi le prime volte in cui ti esibivi sui palcoscenici dei villaggi?

Inizialmente percepivo che non ero ancora al livello che avrei desiderato raggiungere. Però capivo anche l’importanza della continuità nel mettersi alla prova. E così ho continuato.

Qual è la dote che hai sempre avuto fin dall’inizio della tua carriera e che hai affinato nel tempo?

La percezione di avvertire quando qualcosa funziona e quando, invece, non funziona. Credo sia importante avere questa sensazione quando si sta su un palcoscenico.

E dopo l’esperienza nei villaggi cos’è accaduto?

Ho iniziato a lavorare in teatro. I villaggi mi avevano ben strutturato, al punto da sentirmi pronto nell’affrontare un provino.

E com’è stato il tuo primo provino?

Mi ricordo che stavo preparando uno spettacolo mio e avevo bisogno di un teatro. Ne girai molti finché, una sera, entrai in uno nel momento in cui stavano provando uno spettacolo. C’era il regista presente con il quale parlammo di un po’ di cose. Nel salutarlo gli dissi: “Se ha bisogno di un attore, io sono qua”. Lui mi rispose: “Vuoi provare”? Rimasi spiazzato, ma naturalmente gli dissi di sì. Mi fece stampare la parte e la provai subito. Calcola che non lessi nemmeno le battute. Finita la prova, il regista mi disse: “C’è qualcosa da migliorare. Comunque ci vediamo giovedì prossimo”. E mi mandò da una delle organizzatrici per accordarci sulle condizioni economiche. Mentre questa persona parlava io la ascoltavo, ma con la mente ero immerso in un altro mondo. Ero talmente eccitato all’idea di essere stato preso in una compagnia e poter fare teatro che non pensavo ad altro. Iniziarono due anni continuativi di lavoro che mi permisero, come attore, di crescere ancora di più.

Ti senti più un attore di teatro o un conduttore?

Io mi sento principalmente un conduttore, con le varie sfaccettature che questo ruolo comporta. Sento che questa è la mia strada principale.

Hai un modello a cui ti ispiri?

Non ho un modello unico, ma una miscellanea di punti di riferimento. Mi piace la spontaneità costruita di Fiorello e la sua versatilità senza essere volgare; il linguaggio elaborato e colto di Paolo Bonolis e il modo con cui si arrabbia con la spalla o le altre persone, ma sempre con grazia ed eleganza; apprezzo alcune piccole dinamiche di Fabio Fazio che emergono nei suoi duetti con Nino Frassica; l’educazione di Amadeus.

Se ti proponessero un ruolo drammatico in un lavoro classico, lo accetteresti?

Sì, lo accetterei. Perché mi piace tutto ciò che orbita nel mondo del teatro.

Quale sogno hai in serbo di realizzare per il tuo futuro?

Sogno di costruire, su me stesso, una figura polivalente in grado di poter affrontare tutto ciò che il mondo dello spettacolo offre nelle sue diversità.

Cos’è che non sopporti come artista?

Non sopporto la disattenzione da parte del pubblico verso chi, in quel momento, si esibisce sul palcoscenico. Più che non sopportarlo, mi crea agitazione. Perché, indipendentemente dal piacere o non piacere quella performance, all’artista va riconosciuto l’impegno che sta mettendo negli istanti in cui è sul palco.

pierlu83

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