-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Continua la nostra attività di informazione sul Covid-19. Quest’oggi abbiamo parlato con la Prof.ssa Maria Rita Gismondo, DIRETTORE/RESPONSABILE MICROBIOLOGIA CLINICA, VIROLOGIA E DIAGNOSTICA BIOEMERGENZE all’Ospedale Sacco di Milano.
Professoressa Gismondo, parliamo del vaccino per il Covid-19. È notizia di ieri: pare sia stato trovato all’università di Pittsburgh. Lei che ne pensa?
Io sono molto cauta su queste ricerche, importantissime e che ci fanno sperare bene. Ma è una speranza, non una certezza. La scienza è fatta di tante prove e riprove. Non illudiamoci. Speriamo sia la strada giusta. Ci sono circa quaranta centri che stanno portando avanti la ricerca sul vaccino per questo coronavirus, ed è un dato positivo. Ma, come prove scientifiche, non siamo ancora autorizzati a dire di averlo trovato. Siamo sulla buona strada.
Ho letto ieri una dichiarazione del Prof. Giulio Tarro, e diceva che secondo lui questo vaccino potrebbe non servire se questo coronavirus ha subito delle mutazioni in Lombardia e in Veneto rispetto alla sua origine cinese. Lei è d’accordo?
È un concetto molto vicino a quello che ho espresso io qualche tempo fa. Questo coronavirus è un virus ad RNA. Il virus ad RNA è facilmente mutevole. Tanto è vero che dopo vent’anni non abbiamo ancora trovato il vaccino per l’HIV che è, per l’appunto, un virus ad RNA. È anche vero che oggi abbiamo delle possibilità di usare, tramite la bioingegneria, parti antigeniche del virus – quelle, cioè che possono stimolare gli anticorpi. Quindi le speranze sono più fondate. Detto questo, l’ipotesi di Tarro non è assolutamente peregrina. La minaccia che possa non essere raggiunto il goal di un efficiente vaccino è sempre dietro l’angolo quando si parla di virus ad RNA che sono mutevoli.
Lei, allora, che pensa del possibile impiego del plasma ricavato dal sangue delle persone guarite come protocollo di cura per questo coronavirus?
Certamente non è una terapia che possiamo prendere come costante per questa infezione. Sappiamo che in Cina è stato utilizzato. C’è tantissimo materiale, in questo momento, di persone guarite da coronavirus che si potrebbe usare. E ci sono protocolli, anche in Italia, che si stanno utilizzando.
Le risulta che stanno avendo buoni esiti?
Gli esiti non si possono dedurre a studio non concluso. Abbiamo bisogno di numeri, calcoli statistici. Noi possiamo parlare di quello che è accaduto precedentemente in Cina, e da questa esperienza ci è stato riferito che alcuni casi sono stati positivi. Ma alcuni casi! Da qui a dire che questa è la terapia ce ne corre.
A livello giornalistico, e non solo, si paragona questo coronavirus con i precedenti della SARS e della MERS…
La SARS non c’è più. Invece la MERS è rimasta ma con pochi casi fra di noi. Si fanno questi paragoni perché si tratta sempre di un coronavirus e, dal punto di vista genico, il Covid-19 è strettamente apparentato con quelli della SARS e della MERS. I due esempi precedenti rappresentano le possibili strade che questo coronavirus potrebbe prendere: la scomparsa, cioè, dalla specie umana come avvenuto per la SARS – e ci auguriamo che sia ciò che possa accadere –; ma l’ipotesi a mio avviso più probabile è quella che, come con la MERS, il Covid-19 diventi meno diffuso e ci dia di tanto in tanto qualche caso.
Una domanda relativa alla mancata zona rossa in Lombardia – quella di cui ha parlato Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano del 30 marzo scorso: se fosse stata istituita pe tempo, lei pensa che avremmo evitato questa diffusione pandemica del Covid-19 in tutta Italia?
Tutte le volte che c’è una zona rossa si limita la diffusione del virus. Se avessimo avuto una zona rossa immediatamente, di sicuro avremmo avuto meno casi. Non è un’opinione. È una certezza. Lì dove non facciamo uscire il virus da un confine, scongiuriamo la possibilità che altre persone siano infettate.
Quindi estremizzando: se si fosse resa, per tempo e cautelativamente, zona rossa – o chiusa – la Lombardia, il contagio sarebbe stato molto ma molto limitato in tutto il territorio nazionale?
Se non altro avremmo evitato la fuga di diecimila deficienti da Milano portando l’infezione nel resto della nazione. Magari ci sarebbero stati comunque altri casi. Ma quell’episodio di inizi marzo è stato un contributo molto importante all’attuale situazione.
Gli asintomatici – persone che risultano positive al tampone ma non presentano sintomi – sono contagiosi per gli altri oppure no?
Innanzitutto l’asintomatico deve essere ben chiaro che non sempre è puro. Nel senso che una persona dice di non avere sintomi, e invece ha un leggero mal di gola o un lieve mal di testa. Non sempre, quindi, gli asintomatici sono puri. Detto questo non ci sono studi che evidenziano un contagio da un positivo asintomatico a un negativo. Tuttavia è bene tenere l’asintomatico isolato per evitare qualsiasi possibilità di contagio. Anche perché potrebbe divenire sintomatico e diventare, così, diffusore del virus.
La delegazione di medici da Wuhan è ancora in Italia o sono andati via? E ci hanno aiutato in qualche modo?
I medici in delegazione da Wuhan li ho ricevuti anche io nella mia struttura ma sono andati via. Hanno dato dei consigli, ma si trattava di una delegazione di consulenza e non di aiuto.
Lei è d’accordo con quello che ha detto il governatore del Veneto Luca Zaia, e cioè che in Lombardia si è commesso l’errore di ricoverare nelle strutture ospedaliere tutti i malati da questo coronavirus senza operare una differenziazione tra casi più gravi e meno gravi?
Non è assolutamente vero. Per quello che conosco io di realtà ospedaliera, anche perché io mi occupo più della parte diagnostica, c’è stato un contenimento delle persone a casa, in continuo contatto con i medici che telefonavano loro due volte al giorno evitando così anche la diffusione del virus negli ospedali.
Ilaria Capua ieri, in un’intervista, ha detto che questo coronavirus per la prima volta ha infettato un gatto. Quindi è naturale che, essendo partito dal mondo animale, ora vi faccia ritorno. Potrebbe, questa, essere una speranza per liberarcene?
È una delle fasi possibili del virus. Ma non è detto che, andando verso l’animale, non colpisca più l’uomo. Attenzione, però, a diffondere in maniera errata questo messaggio. Perché in modo incontrollato potremmo assistere a follie come l’allontanamento degli animali e addirittura alla loro uccisione. È stato provato da uno studio dell’Iss che cani e gatti – questi ultimi in particolare – possono essere infettati, ma non ne muoiono e non vi è stata una evidenza di contagio al contrario. Cioè è stato l’uomo ad aver infettato l’animale (cane o gatto) e non il contrario. È sempre buona norma igienica con gli animali, perché possono trasferirci malattie pur essendo tenuti in casa in modo perfetto, non avere contatti troppo ravvicinati di tipo interumano (abbracciarli, baciarli, farli dormire nello stesso letto). Vanno rispettati e tenuti nelle migliori delle maniere, ma sono sempre animali benché domestici.
Walter Ricciardi, che fa parte del comitato scientifico del governo per questa emergenza, ha dichiarato che fin quando non si sarà trovato il vaccino non potremmo mai tornare alla vita di prima. Lei è d’accordo?
È una visione un po’ pessimistica. Direi che non siamo autorizzati in questo momento, dai dati che abbiamo, né ad essere molto ottimisti ma neanche ad essere molto pessimisti. Di sicuro il vaccino potrà liberarci definitamente da questo coronavirus. Ma nessuno esclude che, come già avvenuto con la SARS, il virus non abbia un decremento fino a scomparire dalla specie umana che, ricordiamolo, non è la sua specie. Il salto che c’è stato dal mondo animale all’uomo è stato eccezionale. Il coronavirus che stiamo esaminando vive, forse anche da millenni, negli animali. Quindi può darsi che non ci disturbi più. Quella di Ricciardi è una visione pessimistica. Io sono più ottimista e credo che, con una rapidità forse inferiore di quella osservata con la MERS, questo coronavirus smetterà di darci casi gravi e circolerà, come sta già avvenendo per altri quattro coronavirus differenti da quello di cui stiamo parlando, causando un banale raffreddore. È una delle ipotesi ed io preferisco mettere sul tavolo quella più ottimista. Anche davanti alle catastrofi cerco sempre di individuare un granellino di positività. È una questione di tempo, ma la soluzione si troverà.