-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Torniamo a parlare di coronavirus cercando di informare i lettori sulla situazione che, di settimana in settimana, va modificandosi. Lo facciamo, questa volta, con la Professoressa Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano.
Partiamo dai dati Professoressa e cerchiamo di analizzarli insieme. Secondo le ultime notizie, pare che la diffusione del coronavirus abbia avuto una stabilizzazione con una tendenza a calare. Lei come commenta questi risultati?
Di cosa stiamo parlando? Dobbiamo stare molto attenti. Parlare di numero di contagi – cioè persone che hanno il tampone positivo – è assolutamente superfluo, perché dipende da tantissimi fattori: il numero di tamponi analizzati, la popolazione che stiamo andando a testare e così via. Noi dovremmo parlare esclusivamente di persone che sono sintomatiche che rimangono a casa in osservazione o che vengono ricoverate. Sui ricoveri abbiamo dati certi, così come – purtroppo – sui decessi. Tutti gli altri dati sono assolutamente non analizzabili. Perché non hanno un valore. Non sappiamo, per esempio, il campione sul quale li testiamo: non sappiamo quanta gente è a casa con pochi sintomi e che magari non ha fatto il tampone; e, per altro, non sappiamo quanti ve ne sono senza sintomi, che sono magari positivi, e che sono perlomeno cento volte di più di quelli che noi analizziamo.
Quindi questo potrebbe far rivedere le considerazioni che sono state avanzate – soprattutto da parte di noi giornalisti (faccio un mea culpa) –, magari anche erroneamente, su questo coronavirus e sulla sua diffusione?
La diffusione è molto ampia. E questo lo sappiamo bene perché è, ormai, più che accertato. Ma il dato relativo alla diffusione non è sovrapponibile, per fortuna, alla patologia. Solamente pochi si ammalano e solamente pochi hanno delle gravi patologie che, ripeto, sono gravi. Sono, si badi, pochi in percentuale ma come numero assoluto sono tanti. Tanti da mettere in crisi i nostri ospedali perché abbiamo bisogno di disponibilità di posti letto in terapia intensiva. Per cui è sempre necessario operare la distinzione fra numero in percentuale di persone che hanno patologie gravi derivanti da questo coronavirus e il loro numero assoluto.
È davvero possibile, come ha anche affermato lei di recente, che in Lombardia questo coronavirus abbia subito una mutazione?
Sicuramente ci sono dei fattori che stanno caratterizzando in maniera diversa, rispetto ad altre parti d’Italia, la zona di Brescia e Bergamo. Questa constatazione l’ho fatta io e, insieme con me, anche la Capua e Pregliasco. Non è una situazione normale – sia detto tra virgolette – analizzando gli altri focolai e le altre casistiche. Quali sono questi fattori? Per essere più precisi parlerei di co-fattori, più di uno, che hanno influito sulla situazione. Uno – da non escludere – potrebbe essere un virus che ha delle mutazioni; un altro potrebbe essere l’età media molto più alta in quella zona; o, ancora, potrebbe essere l’inquinamento; infine il comportamento sociale: non dimentichiamo che fino alla scorsa settimana in quella zona vi erano delle aziende, anche piccole, aperte e quindi un contatto sociale ancora intenso.
Le condizioni climatiche a cui stiamo andando incontro – il caldo soprattutto – rappresentano un fattore sul quale ben sperare per arrestare la diffusione così massiccia di questo virus?
La bella stagione è sempre contraria alla diffusione del virus. Ma per un semplice motivo: non perché il virus si attenui, ma perché le persone passano più tempo all’aperto e non sono più chiuse negli agglomerati urbani (il bar, il night, le discoteche e altri luoghi simili). Con la bella stagione si favoriscono situazioni di distanziamento sociale, per cui si tende ad avere una minore diffusione e, conseguentemente, un minore contagio dovuti proprio a un diverso comportamento umano.
Secondo lei noi giornalisti abbiamo esagerato a diffondere – consapevolmente o inconsapevolmente – il panico fra la gente?
Non si può parlare di tutti i giornalisti alla stessa maniera e lo stesso discorso vale per i virologi. Qualcuno, forse, ha esagerato per conquistare la scena (ma questo è un discorso che vale anche per altri professionisti). Come ha detto l’Organizzazione Mondiale della Sanità: questa è un’epidemia più di informazione che di virus, nel senso che è la prima volta che c’è una stragrande quantità di informazioni su un virus (vere, false, che si contraddicono). La gente è stata totalmente assalita da notizie di ogni tipo. Tutt’ora, sebbene l’argomento sia interessante, non si fa che parlare di coronavirus dappertutto.
Che differenza c’è fra morire “con” coronavirus e “di” coronavirus?
Partiamo dal presupposto che la morte è un evento che, per quanto possibile, bisogna sempre cercare di evitare. Tuttavia c’è una differenza sostanziale. Morire “di” coronavirus significa questo: una persona che è sana e che non ha altre patologie, per l’attività di quel virus contrae la malattia e muore. Morire “con” coronavirus vuol dire: una persona che ha altre patologie gravi, che comunque la porterebbero a morte, con la super infezione del coronavirus subisce un’accelerazione del decesso.
Lei è d’accordo con l’ultimo provvedimento preso dal Governo, che porterà a differenziare di regione in regione – in base alle varie situazioni locali – le misure contenitive scegliendo di attenuarle o inasprirle?
No. Io sono addirittura dell’avviso che tutta l’Europa dovrebbe prendere delle decisioni uguali ed omogenee. Il virus passa da una regione all’altra e non ha confini. Più si hanno iniziative omogenee, maggiore è il successo nel contrastare il virus nella sua diffusione.
Dal 3 Aprile prossimo potremmo assistere ad una varietà di iniziative tali da non contrastare, in modo decisivo, la diffusione del coronavirus?
Secondo me sì. Speriamo che questo non avvenga.
Se le cose dovessero proseguire come hanno iniziato a procedere in questi ultimi giorni, secondo la sua esperienza potremmo dire che, ad esempio, a Maggio prossimo abbiamo passato la nottata – per citare Eduardo De Filippo?
Dipende cosa si intende per nottata. Che non ci sia più la circolazione del virus penso che sia un’utopia. Il virus continuerà a circolare ancora per mesi, avremo forse un decremento in Estate e potrebbe riapparire nel prossimo Autunno. Possiamo auspicare che, rispettando le misure cautelative che sono state prese, vi sia un calo significativo dei contagi e, quindi, un graduale ritorno alla vita normale.