Tempi di coronavirus: otto motivi per riaprire le librerie

-di Patrizio Paolinelli

 

Nell’eterna lotta tra vizi e virtù di solito vincono i vizi. L’ennesima conferma proviene dalla decisione del governo di tenere aperti i tabacchini e chiudere le librerie. Chiuderle a causa dell’emergenza sanitaria dettata dalla diffusione del coronavirus. Dunque, per salvaguardare la salute pubblica nicotina sì, cultura no. Suona strano, vero? Già, perché di tabagismo in Italia muoiono circa 70mila persone all’anno. Di lettura nessuno. Oltretutto il coronavirus attacca le vie respiratorie. Dunque bisognerebbe proteggerle anziché danneggiarle.  E allora quella del governo è una saggia decisione? No. E non lo è per diversi motivi.

Primo motivo. Mediamente nei tabacchini entrano assai più persone che nelle librerie. L’affermazione non è suffragata da dati statistici ma dall’osservazione empirica. Comunque, se anche così non fosse come si organizzano le code nei tabacchini altrettanto si potrebbe fare nelle librerie.

Secondo motivo. La decisione del governo significa considerare il libro esclusivamente come una merce. Ma il libro è anche cibo per la mente. Cibo molto necessario per gli italiani, che in Europa si collocano in fondo della classifica per numero di lettori. E si vede: l’analfabetismo funzionale e quello di ritorno dilagano, mentre in media i nostri giovani sono di un’ignoranza terrificante. Laureati compresi.

Terzo motivo. Si dirà: i libri possono essere acquistati on-line. È vero. Ma si trascura un dettaglio: per le piccole librerie l’incremento dell’e-commerce corrisponde all’avvio della soluzione finale. È noto: in Italia il comparto attraversa una crisi devastante e negli ultimi cinque anni hanno chiuso 2.300 librerie, mentre quelle di piccole dimensioni sono ormai ridotte a poche centinaia sull’intero territorio nazionale. Con conseguente perdita di numerosi posti di lavoro.

Quarto motivo. Acquistare libri on-line significa favorire la concorrenza sleale dell’e-commerce, la cui piattaforma principale, Amazon, vende spesso sottocosto, non paga le tasse e i profitti li fa investendo sui mercati finanziari la massa di liquidità rastrellata. Se poi qualche governo europeo adombra solo alla possibilità di far pagare le tasse alla più grande Internet company del mondo eccolo minacciato dalla grande democrazia a stelle e strisce: i nostri cosiddetti alleati. Risultato: chiudono anche le grandi librerie. A Torino cessa l’attività la storica libreria Paravia, a Roma la libreria Croce (frequentata, tra gli altri, da Gadda, Pasolini, Vittorini), la Libreria del Viaggiatore e due importanti punti vendita della Feltrinelli.

Quinto motivo. Il decreto del Presidente del Consiglio permette la consegna dei libri direttamente a domicilio. Risolto il problema? Nient’affatto. La norma è soggetta a interpretazione, perciò alcuni Comuni la consentono e altri no. Certo, i librai possono ricorre ai corrieri. Ma a quel punto i margini di guadagno già molto bassi si ridurrebbero ulteriormente. Si potrebbe pensare che sarebbe comunque un modo per tenere vivo il mercato. Purtroppo no. Gli italiani cibano assai poco la loro mente. La spesa destinata al libro è quella e pochissimi sono disposti a aumentarla.

Sesto motivo. La quarantena a cui i cittadini sono sottoposti poteva essere utilizzata dal governo per lanciare una campagna nazionale a favore della lettura. Invece no. Gli italiani passeranno il tempo ancor più davanti alla Tv diventando ancor più disinformati e consumisti, manipolati e alienati di quanto già non lo siano. E non si venga a dire che Internet costituisce un’alternativa perché i contenuti della cultura di massa sono ancora oggi prodotti dal cinema e soprattutto dalla Tv commerciale. La cui forsennata produzione di miseria culturale ha portato il nostro Paese a essere quello che è oggi: americanizzato, privo di un’identità, nostalgico dell’uomo forte.

Settimo motivo. E gli e-book? Non li consideri? Certo che li considero. Ma non mi si venga a dire che la lettura mediata da una macchina è la stessa cosa della lettura sul cartaceo. È più lenta, più disattenta, più favorevole ai grandi editori. Insieme alle piccole librerie stanno infatti scomparendo anche i piccoli editori. Per quanto modesto, un baluardo alle grandi concentrazioni e al pensiero unico dilagante. Non solo. Le librerie off-line non esauriscono il loro ruolo nella vendita. Hanno anche una funzione culturale, sociale e civica che l’e-book non compensa minimamente. Anzi.

Ottavo motivo. Le piccole librerie sopravvissute alla moria degli anni passati sono in genere società di persone (Snc e Sas). Pertanto non godono dell’indennizzo di 600 euro previsto dal decreto Cura Italia, che è destinato a una serie di categorie professionali spesso assai più robuste di tanti negozietti che ancora si ostinano a vendere libri. Intano siamo alla terza settimana di chiusura. Anche i librai pagano l’affitto e devono onorare gli impegni precedentemente contratti. Quanto potranno resistere ancora?

pierlu83

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