Epicedio dell’Intellettuale

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

La lite avvenuta fra Sofri, Saviano e il Ministro degli Interni a mezzo stampa e profili social, impazza ovunque al punto che non è il caso di tornarvi sopra. Tutti la conoscono. Il punto intorno al quale val la pena riflettere, semmai, è: perché un gruppo di intellettuali ricorre al pubblico dileggio invece che alla ponderata e stoica riflessione? Cosa ci si attende come reazione da un comportamento consimile?

Non si tratta d’assumere le difese d’ufficio verso chi lavora con le parole contro una certa fazione politica (benché misera e sciatta nelle argomentazioni). Al contrario, proprio perché si ha consuetudine quotidiana col fraseggio, la scelta dei lemmi da inserire entro un certo ritmo, e quindi con la ponderatezza quale cifra stilistica per eccellenza della riflessione, un atteggiamento del genere, da parte di alcuni intellettuali, è inaudito.

Uno scrittore insulta, un altro lo sostiene affermando che quanto letto è la più lucida analisi politica degli ultimi decenni. A coronamento di questo avvilente spettacolo, il Ministro sentitamente ringrazia annunciando querele per Sofri e Saviano.

Da questa sciarada il pubblico cosa può trarne? Nulla più d’un pettegolezzo costretto a spegnersi alla luce del sole per via della canicola estiva che avvinghia città e campagne. Quanto siamo distanti dalle polemiche che, ad esempio, Camus e Sartre innestavano su questioni altamente filosofiche con risvolti sociali di ampio respiro. Simili in molto, ma differenti sul piano della teoresi, l’autore della Nausea e quello de Lo straniero permisero ai rispettivi lettori non solo di apprendere qualcosa in più del pensiero che entrambi incarnavano, ma anche di penetrare in profondità dinamiche socio-politiche e culturali altrimenti imprendibili.

Perché oggi tutto questo è scomparso? Molte le ragioni. Su tutte, l’imperversare dell’economia nel mondo della cultura, che ha appiattito l’intelletto a mero funzionario che deve produrre per creare profitto. Il resto è superfluo. Conta solo un certo beneficio di ritorno che può esservi.

Cosa dovrebbe fare un intellettuale? Tutti se lo chiedono fornendo risposte diversissime e poco attinenti. Ci si richiama a Gramsci, alla lezione dei maîtres â penser, alle questioni relative all’impegno politico di un uomo d’ingegno. Si rievocano gli anni in cui in Italia scrittori come Pasolini e Moravia facevano loro questioni di alto interesse sociale, e scrivevano libri e articoli a profusione invitando le persone a meditare, assumere una posizione – giusta o sbagliata che fosse.

L’errore in queste operazioni è solo uno: vedere a tale glorioso passato in modo nostalgico, con rimpianto, nutrendo la convinzione che esperienze simili oggi non si possono più ripetere.

Menzogne! La stagione dei Moravia e dei Pasolini, dei Camus e dei Sartre, dei Brecht e dei Pasternàk: quella degli intellettuali d’un sano dissenso potrebbe ripetersi senza alcuna difficoltà né imbarazzo. Basterebbe liberarsi dei tanti Belfagor dei numeri, e tornare a produrre scritti e opere che stimolino riflessioni sul nostro tempo senza che si tramutino in sciatta cronaca.

Per far questo occorre che l’intellettuale torni ad essere uomo che guarda alle contraddizioni del suo presente, cercando di riunirle in un’armonia tutt’altro che consolatoria attraverso lo studio e la riflessione intorno ai classici. Mai si riuscirà a ricreare un sano tessuto di uomini del sapere se non si percorre tale via.

La diatriba fra Sofri, Saviano e Salvini, così come è stata declinata – e a quanto se ne sa finora – non ha nulla a che vedere con le polemiche mosse da intellettuali come Sartre e Camus. La gente che legge le pagine dei quotidiani o che apprende questa notizia per caso, non saprà mai nulla di più di ciò che accade intorno ad essa e a sua insaputa.

Tutto questo non è che insipida retorica, che attira e affascina. Ma che subito scompare, come un fuoco d’artificio che inerme precipita a terra dopo aver riempito il cielo di luci e di fumo.

pierlu83

Rispondi