Il profumo dei diritti e la puzza dei potenti

di Enrico Matteo Ponti

Leggendo i giornali di questi giorni che riportano un nuovo crollo delle nascite nel nostro Paese, l’ulteriore contrazione del PIL, le continue proteste dei cittadini costretti ad attese bibliche per un esame o una visita specialistica presso le strutture pubbliche; le manifestazioni dei lavoratori in attesa da anni ed anni di rinnovo contrattuale; l’aumento dei disoccupati e dei lavoratori a tempo determinato;  il perdurare di un livello di evasione fiscale quantificato in oltre 200 miliardi l’anno – secondo solo ai costi che la collettività è costretta a pagare alla dilagante corruzione… mi è tornata alla mente una storia che si tramanda da secoli nell’antico Tibet.

Si narra che un povero vecchio, ricevuto in dono da una donna un preziosissimo pezzo di pane, prima di iniziare a sbocconcellarlo lo passasse sul fumo che saliva dalla carne messa a cuocere su un braciere davanti a quello che oggi definiremmo un classico esempio di street food.

Al vedere questa scena, il ricco padrone della bottega si precipitò verso il vecchio chiedendo il pagamento per il profumo che aveva insaporito  di così tanto gusto il suo pezzo di pane.

Il vecchio, ovviamente, si rifiutò sia perché non aveva null’altro che quel pezzo di pane sia perché riteneva malvagia e ingiusta la richiesta.

Al che il perfido commerciante trascinò il povero vecchio in tribunale per esigere quanto pretendeva essergli dovuto.

Il giudice, ascoltate le parti, valutato il fumus… boni  juris (termine che ben si attaglia alla nostra storia…) decise di condannare il vecchio per quello che oggi potremmo definire  reato di “indebito arricchimento”.

Ma grande fu la sorpresa di tutti quando il saggio magistrato lesse la sentenza: “Tenuto conto che il vecchio si è arricchito utilizzando il solo profumo di proprietà del negoziante, lo stesso sarà adeguatamente ripagato con il suono di una moneta sbattuta per tre volte su una pietra”. Quindi, per aver disturbato la giustizia e la serenità di un povero cittadino, il commerciante venne condannato all’esilio.

Quale è la connessione fra questa antica storia tibetana  e quella moderna tutta italiana?

Facile rispondere per il comune cittadino dotato di un pizzico di malizia e di tanta, tanta rabbia: da oggi, considerato il livello dei servizi pubblici che lo stato sta progressivamente riducendo all’osso, valutato il danno che deriva alla società costretta, sostanzialmente,  a fruire del solo profumo dei propri diritti costituzionalmente tutelati e non della “ciccia” vera, purtroppo riservata sempre più a poche fasce della cittadinanza e non alla sua totalità, dovremmo cominciare a trovare il modo, come il povero vecchio della storia, di ripagare con il suono delle monete, e non con le banconote, i lauti stipendi di chi, anche grazie a politiche miopi, divisive e non solidaristiche,  continua a ridurre in queste condizioni una sempre crescente parte della popolazione.

Quando leggiamo che 11 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare non solo a curarsi ma anche solo ad acquistare i medicinali il cui ticket, anche in rapporto al reale potere d’acquisto di retribuzioni e pensioni, continua ad aumentare   progressivamente; quando, nonostante la complicata e spesso cervellotica elargizione  del  reddito di cittadinanza,  fonti ufficiali stimano in oltre 5 milioni i nostri connazionali costretti a sopravvivere sotto la soglia di povertà; quando le giovani coppie – che in molti casi, lavorando in due, non arrivano a  guadagnare 2.000 € al mese – sono costrette a continuare a coabitare con i genitori e a dover rinunciare alla gioia di  un figlio, tenuto conto che solo per l’asilo o la scuola materna mediamente necessita spendere 500 € al mese; quando è diventato normale per i nostri ragazzi trasferirsi all’estero per poter sperare in una decente quotidianità lavorativa e sociale; quando alla chiusura dei mercati rionali si vedono scene di anziani costretti a frugare negli avanzi dei banchi contendendoseli con qualche randagio…

…e quando leggiamo della presa di posizione  della Banca JP Morgan che in un suo documento ufficiale, finalizzato allo studio delle iniziative da adottare per rilanciare e tutelare il capitalismo esasperato  e la globalizzazione, propone il ridimensionamento delle Costituzioni di quei paesi, specie europei, fra i quali, ovviamente l’Italia, che, secondo lor signori, risultano pesantemente viziate da un eccesso di potere dei Parlamenti rispetto ai Governi; da un eccesso di decentramento decisionale  a livello regionale anche su materie, come la tutela ambientale, che dovrebbero essere quanto meno condivise con le popolazioni interessate ad insediamenti pericolosi per la salute pubblica e l’inquinamento anche olfattivo; da un eccesso di libertà per i cittadini di poter protestare contro le decisioni assunte dal “potere” anche attraverso quei vecchi arnesi rappresentati dalla libertà di stampa, dalla libertà di sciopero, dalla libertà di associazione;

…e quando si iniziano a ridurre gli spazi di partecipazione diretta attraverso la compressione della facoltà di presentare leggi di iniziativa popolare fino ad arrivare a prevedere che la democrazia è un inciampo e un ostacolo alla globalizzazione e alla sovranità assoluta del mercato;

…e quando  uno stato che si dovesse permettere di legiferare a difesa dell’ambiente o del lavoro, le multinazionali, disturbate da siffatta intrusione nei loro interessi, potrebbero  trascinare lo stato stesso di fronte  ad un tribunale internazionale per veder condannato chi si permette di bloccare gli interessi di quel 10 per cento della popolazione che, secondo le ultime stime, tende a possedere il 90 per cento della ricchezza dell’intero pianeta…

….e allora, dopo tutti questi “quando” e dopo tutti gli altri che potremmo elencare copiosamente, cominciamo seriamente ad essere preoccupati per il futuro di questo Paese sempre più diviso in due: da una parte “chi tutto può e tutto ha” e dall’altra “chi nulla  può e nulla , o quasi, ha”.

Un Paese i cui capi, se veramente degni di questo nome e, soprattutto, veramente responsabili dell’insieme e non del particulare ovvero troppo attenti agli interessi degli  amici degli amici, non dovranno essere nominati e non  dovranno abitare nei “palazzi” per investitura di questo o quel partito, di questo o di quel potere forte o, come qualcuno inizia a sostenere, per “sorteggio”…,  ma solo ed esclusivamente come risultato di una elezione libera e democratica.

Altrimenti ci resterà solo la speranza di poterci rivolgere  ad un giudice tibetano…

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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