Piccole storie italiane di ordinario razzismo

 

Questa volta il palcoscenico non è uno stadio, ma la città. Anzi le città. Torino, dove un clochard rumeno che dormiva in un parco intitolata a un premio Nobel che era dalla parte degli ultimi, Madre Teresa di Calcutta, viene cosparso di benzina e dato alle fiamme. Un testimone racconta che era stato minacciato: c’era qualcuno che non accettava il fatto che l’uomo potesse provvedere lì ai suoi bisogni fisiologici. A Roma un gruppo di giovani (cinque) aggredisce due extracomunitari mandandone uno in ospedale con gravi ferite dopo averlo ricoperto di insulti razzisti. Nel gruppo anche questa volta un ultrà (della Roma, dopo le “eroiche gesta” degli omologhi della Lazio) a conferma che gli stadi sono (e non da oggi) vere e proprie incubatrici di razzismo. Ovviamente in tanti continueranno a dire che si tratta di pochi balordi, che non esiste un problema politico. Ma la realtà è diversa. C’è un contagio in atto che sta avvelenando questo Paese. E se ideologicamente il fascismo non è ufficialmente rinato, lo è, però, culturalmente, socialmente, in maniera sottile e nell’indifferenza generale.

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