Il Jobs Act? Otto su dieci posti di lavoro sono a termine

 

-di SANDRO ROAZZI-

L’Istat tasta il polso alla occupazione con auspici positivi. L’occupazione cresce, la disoccupazione scivola sotto l’11%, gli inattivi sono meno. Eppure 8 su dieci nuovi posti di lavoro nel secondo trimestre del 2017 sono a termine e la forbice fra occupazione stabile e precaria si ingigantisce  a favore di quest’ultima. La proporzione fra i due… addendi dell’occupazione è francamente impressionante: su 149 mila occupati in più ben 123 mila sono ben lungi dall’approdare alla riva della stabilità. Ma c’è di più: i passaggi fra lavoro a termine e lavoro stabile sono in calo, dopo l’addio degli incentivi era immaginabile ma ora è provato, in quanto si scende dal 24,3% del 2015 al 16,5% del 2017. E uno sguardo al tasso di occupazione per classi di età ci fa capire come la situazione dei giovani resti molto seria: fino ai 34 anni il… progresso è dello 0,1%, difficile accorgersene, poi sale allo 0,5% per coloro la cui età arriva ai 49 anni ed… esplode allo 0,9% per i cinquantenni che difficilmente esulteranno per un dato che ricorda loro il sempre più lontano traguardo della pensione.

Se lo dovrebbero tenere a mente coloro che in politica sbandierano il motto: “daremo lavoro ai giovani”. I quali giovani nel frattempo sono fra coloro che per trovare una occupazione privilegiano, sostiene ancora l’Istat, i canali informali. Vale a dire che nell’epoca della informatizzazione e della digitalizzazione spinta nel nostro Paese, privo di efficienti politiche attive del lavoro, si ricorre ai parenti e agli amici per non restare con le tasche vuote e le mani in mano. Qualche segnale incoraggiante, seppure minimo ci sarebbe: ad esempio in questo scorcio di 2017 le ore lavorate crescono sia pure di poco, anche se rispetto all’anno scorso il rapporto è negativo per uno 0,7%. Questo vuol dire che la distribuzione del lavoro si avvale della ripresa specie nell’industria ma non riesce ancora, malgrado la congiuntura favorevole, ad allargare stabilmente la base occupazionale.

I posti di lavoro aumentano ma poco, viceversa quel lavoro se lo dividono gli stessi. Insomma navighiamo ancora nella congiuntura. che per sua definizione arreca benefici ma non risolve i nodi di fondo che sono sempre gli stessi e ci vengono rimproverati da più parti: produttività del sistema, formazione, investimenti, efficienza dei servizi pubblici, debito pubblico. Insomma serve un passaggio di livello nel confronto politico e sociale che guardi alle opportunità certo offerte dalla crescita ma non per galleggiare supinamente bensì per progettare obiettivi che diano forza strutturale alla ripresa. Su questo punto langue una riflessione anche di tipo culturale.

Qualche decennio fa la stagione politica ed economica dell’autunno era preceduta da una intensa attività di convegni, forum, meeting che permetteva anche di far dialogare diverse posizioni ed ideologie a livelli di notevole spessore. Oggi ci rimangono un barocco e sterile Cernobbio ed un rituale meeting di Cl a Rimini. Il resto va trovato in… twitter. È davvero poco. soprattutto perché lo spazio per progettare ed intervenire non è infinito. Esso vede come garante la Bce che finora ha acquistato qualcosa come il controvalore di oltre 256 miliardi di euro in titoli italiani. Una ciambella di salvataggio che fra poco si sgonfierà sia pure gradualmente. A quel punto però i protagonisti politici e sociali dovranno essere in grado di nuotare da soli. Un dato che per ora non è affatto garantito.

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