Lo sciopero dei docenti: riflessioni di una studentessa

 

-di GIULIA CLARIZIA-

Negli ultimi giorni, lo sciopero indetto dai docenti universitari e dai ricercatori ha scatenato il panico tra gli studenti. I professori potrebbero non presentarsi ad un appello previsto nella sessione di esami autunnale.

Nei gruppi sui social è il caos. Pur essendo garantito il servizio minimo, ovvero la possibilità di fare l’esame in occasione del secondo appello, laddove previsto, o di un appello straordinario, gli studenti denunciano un disagio.

Qualche settimane fa giravano delle fantomatiche liste di professori aderenti, sulle quali è fatto più o meno fatto affidamento. Tali liste si sono rivelate incomplete, come era prevedibile. Tra chi ha maturato la decisione di scioperare successivamente, e chi ha voluto mantenere l’incertezza, alcuni studenti si sono ritrovati in aula ad attendere invano l’esame. E se entrando, erano accompagnati dall’ansia, uscendo hanno incontrato una nuova amica: la “rabbia”.

Non è giusto”, si dice. Non è giusto che siano gli studenti a subire il disagio di una situazione di cui non hanno colpa. Ed è verissimo. Detto ciò, questa è la natura dello sciopero. Si crea un disservizio per attirare l’attenzione del governo su una situazione ritenuta ingiusta affinché vengano presi i dovuti provvedimenti.

Erano quarant’anni che i docenti universitari non prendevano una simile decisione, portata avanti oggi in nome della dignità della categoria.

Aldilà del tradizionale scontro studente/professore, quello che emerge è una generale confusione. Gli studenti, cioè coloro che sono colpiti direttamente dallo sciopero, non stanno capendo cosa vi è alla base.

Quello che si sente dire, è che ai docenti universitari non è stato tolto il blocco degli stipendi stabilito nel 2013 dal ministro Tremonti in un contesto di crisi ed austerity. Più precisamente, i docenti universitari chiedono che:

1) le classi e gli scatti stipendiali dei Professori e dei Ricercatori Universitari e dei Ricercatori degli Enti di Ricerca Italiani aventi pari stato giuridico, bloccati nel quinquennio 2011-2015, vengano sbloccati a partire dal 1° gennaio del 2015, anziché, come è attualmente, dal 1° gennaio 2016;

2) il quadriennio 2011-2014 sia riconosciuto ai fini giuridici, con conseguenti effetti economici solo a partire dallo sblocco delle classi e degli scatti dal 1° gennaio 2015.”

La realtà però è che la stragrande maggioranza degli studenti, non avendo mai lavorato (o meglio, non avendo mai visto un contratto di lavoro neanche in cartolina), non ha idea di cosa voglia dire tutto ciò.

La sensazione generale è che sia mancata una complicità nei confronti dello studente. Non nel volergli creare disagio. È una sciocca e vuota lamentela dire che questo sciopero viene portato avanti per fare un torto a loro. Quello che sembra mancare però, e lo si dice con la consapevolezza di generalizzare una situazione che andrebbe analizzata caso per caso, università per università, è la volontà di far comprendere agli studenti quello che sta accadendo, così che essi possano valutare la situazione con gli strumenti appropriati e magari anche dare appoggio con i propri mezzi. Volendo, quel che è mancato è anche una disponibilità autocritica dei docenti a sottolineare con onestà le proprie responsabilità in questo processo di lenta dequalificazione dell’alta istruzione, a partire dai motivi che rendono la carriera universitaria (e quindi il rinnovamento del corpo docente) lunga e sostanzialmente impraticabile, una situazione che è certo figlia delle scelte di governo ma che non è che non abbia trovato sponde nei diretti interessati “figli” (e anche padri) di in un sistema che è stato sempre segnato da pulsioni “baronali”.

Non essendoci stato spiegato, abbiamo cercato di capirlo da soli.

Correva l’anno 2013. Non ci si poteva permettere lussi come lo scatto di stipendio per anzianità, ovvero una sorta di premio sullo stipendio a cui si ha diritto quando si lavora per più anni consecutivi per lo stesso datore di lavoro. A seconda del contratto collettivo nazionale di una determinata categoria, i lavoratori avevano diritto ogni due o tre anni ad una maggiorazione dello stipendio per un massimo di dieci scatti.

Considerando che le parole “maggiorazione dello stipendio” ormai sono rare alle nostre orecchie e potrebbero scatenare la nostra immaginazione, è bene sottolineare che si parla in media di una maggiorazione di circa venti euro al mese.

Nel 2015, finalmente, docenti scolastici, medici, personale degli enti di ricerca e della pubblica amministrazione hanno avuto il riconoscimento degli anni del blocco. Mancavano tuttavia nella lista proprio i docenti universitari. Ed è proprio questo che i 5444 docenti e ricercatori firmatari della lettera che ha indetto lo sciopero hanno richiesto, dopo mesi di tentativi di dialogo con chi di dovere.

Nonostante la ministra Valeria Fedeli abbia mostrato nei mesi scorsi buone intenzioni per la soluzione del problema, ad oggi sembra ancora lontana.

Nella lettera si distingue tra riconoscimento del lavoro a fine economico e riconoscimento a fine giuridico. È una distinzione importante. Quello economico è facilmente intuibile, si chiede di recuperare economicamente quello che non si ha avuto.

Il riconoscimento a fine giuridico permette invece di avere riconosciuti gli anni di servizio al fine dell’avanzamento di carriera e progredire nelle fasce stipendiali.

Aldilà di questo casus belli, è evidente che non si è ancora usciti dall’ottica in cui l’istruzione e la cultura sono l’ultima ruota del carro. A subirne le conseguenze maggiori, come al solito, sono i giovani. Intraprendere oggi la carriera accademica è un salto nel vuoto. Chi vuole provare a scalare il cursus honorum al cui vertice si trova la cattedra di ruolo, sa che avrà davanti a sé anni e anni di precariato, moli di lavoro non adeguate alla retribuzione e la necessità di avere le spalle protette da qualcuno, come denunciava qualche mese fa in una lettera aperta Massimo Piermattei, ex ricercatore in Storia dell’Integrazione europea.

Che non ci si sorprenda della fuga dei cervelli se tanti studenti che entrano in contatto con università straniere grazie ai programmi Erasmus ricevono addirittura proposte spontanee di dottorati ben retribuiti.

Alla speranza di avere oggi docenti più soddisfatti, aggiungiamo quella di poter arrivare in condizioni dignitose ad essere i docenti di domani.

giuliaclarizia

2 thoughts on “Lo sciopero dei docenti: riflessioni di una studentessa

Rispondi