-di SANDRO ROAZZI-
Moody’s, l’ agenzia di rating che in piena recessione prediceva un destino miserabile per l’Italia, oggi si mette alla testa degli ottimisti e prevede sia per quest’anno che per il prossimo in Pil in aumento dell’1,3%. Un altro indicatore, certamente meno confortante, suggerisce che la ripresa è in marcia: in sette mesi, secondo l’Inail i decessi per causa di lavoro sono cresciuti del 5,2% rispetto allo stesso periodo del 2016 e sono in aumento anche gli altri incidenti del lavoro. Tutti o quasi concentrati nell’industria e nei servizi. Sale anche nel secondo trimestre il fatturato dei servizi che tocca un +0,7% sul primo. Alloggi, ristorazione e trasporti sugli scudi. Naturalmente il… raccolto di segni positivi viene commentato dai tweet di Governo e Renzi. Mettono il marchio sul risultato ed evitano il fastidio di ragionare su di essi.
Cosa c’è da commentare? Beh, anche le motivazioni di Moody’s che vede fra i fattori determinanti dei progressi la politica monetaria di Draghi e le opportunità del mercato mondiale. Due spiegazioni delle quali la nostra economia approfitta ma che non sono legate a decisioni interne e probabilmente sono influenzate marginalmente dagli interventi di riforma sbandierati ad ogni pie’ sospinto.
Il percorso della economia italiana dovrebbe proseguire visto che la Bce sembra intenzionata ad insistere sulla linea di assicurare liquidità, complici le… pigrizie dell’inflazione. Ed è difficile pensare che la stessa Germania torni a premere per cambiare rotta, malgrado i suoi mal di pancia bancari, impegnata come è nel clima elettorale. Semmai un’incognita può venire dal rafforzamento dell’euro che potrebbe alla lunga penalizzare il nostro export, anche se i miglioramenti economici dipendono in buona parte dal lento risollevarsi della domanda interna.
Ma la politica dovrebbe usare il proprio sguardo per andare oltre il contingente. Ed in questo gli interrogativi non mancano. In questi giorni è diventato legge il provvedimento che riguarda il sostegno alle famiglie più indigenti. Certamente non si può non convenire che per coloro che fanno la fame è un sollievo sul quale non si dovrebbe ironizzare. Ma colpisce il fatto che il provvedimento è a termine e soprattutto dovranno essere i destinatari a chiedere i soldi, quando le informazioni in rete dello Stato dovrebbero non aver bisogno delle domande, visto poi che sono in grado di quantificare gli aventi diritto… Inoltre per il ministro Poletti questo è il preludio ad una azione di inclusione della quale però non fornisce alcun dettaglio. Eppure Governo e partiti non possono far finta di niente: la povertà in Italia è una delle facce di quel gigantesco processo di allargamento delle diseguaglianze sociali, rafforzatosi nella recessione, al quale occorrerebbe rispondere con strategie che vanno oltre benefici contingenti buoni per alimentare i consumi ma insufficienti a ridare vera dignità alle condizioni sociali in cui versano alcuni milioni di persone.
C’è da chiedersi inoltre se questa ripresa sta producendo davvero posti di lavoro stabili e non confermi invece al dunque il predominio dei contratti a termine, ovvero della precarietà.
La Confindustria di Boccia strepita non a caso per avere dal Governo una decontribuzione massiccia per le assunzioni dei giovani e, soprattutto, strutturale. All’insegna del motto: se costa meno, assumo e tengo. Eppure gli industriali privati glissano sul fatto che nel 2019 le incentivazioni a loro destinate lambiranno gli 80 miliardi di euro. Ma il guaio è che hanno incassato sì ma sul piano occupazionale e degli investimenti ancora non ci siamo ed è lontano l’obiettivo di tornare sui livelli pre-crisi, quando comunque l’Italia cresceva meno dei suoi competitori anche per i comportamenti imprenditoriali.
In terzo luogo restano senza risposte convincenti problemi che sono sul tappeto: dalla eterna questione previdenziale, agli squilibri territoriali, al ruolo che lo Stato può giocare in economia. A proposito di questo ultimo tema stanno ritornando a farsi sentire le voci dei liberisti – lo Stato resti fuori dalla economia – in linea con la Presidenza Trump. Una ricetta che suona pressapoco così: deregulation e un po’ di protezionismo. Una volta si diceva: errare humanum est, perseverare diabolicum. Appunto.