Ma le navi da guerra non fanno una politica delle migrazioni

 

-di GIULIA CLARIZIA-

L’Italia potrebbe giocare un ruolo decisivo nell’ambito della lotta al traffico degli esseri umani. La svolta è arrivata oggi con il vertice tra il premier Paolo Gentiloni e il primo ministro libico Fayez al-Sarraj.

La Libia ha ufficialmente chiesto l’intervento di navi italiane nelle sue acque territoriali. Per frenare l’immigrazione clandestina – ha spiegato al-Sarraj – la Libia ha bisogno del sostegno tecnico italiano, sostegno che coronerebbe gli accordi di cooperazione stretti tra i due paesi.

L’apertura delle acque libiche alle navi italiane potrebbe rappresentare una svolta.

Un efficace pattugliamento delle coste sarebbe una spina nel fianco per i trafficanti clandestini, che imbarcano uomini, donne e bambini in condizioni estremamente precarie in cambio di alte somme di denaro, spesso tutto quello che queste persone possiedono.

Schierarsi in prima linea nell’affrontare un fenomeno così crudele sarebbe onorevole. Tuttavia, non si può pensare che la lotta ai trafficanti possa essere considerata di per sé una politica delle migrazioni.

I trafficanti sono criminali spregevoli che approfittano del desiderio (o del bisogno) delle persone di trovare una speranza di vita nell’occidente opulento, gente che sfugge dalle guerre o dalla miseria o dalle due cose insieme. Cercano una esistenza dignitosa e per trovarla sono pronte a rinunciare a tutti i poveri averi (o a impegnare i guadagni futuri) e a imbarcarsi in un viaggio rischioso.

Finché esisterà il bisogno, esisteranno i flussi migratori. Si possono limitare le ondate più alte che generano spregiudicate speculazioni, combattendo i trafficanti ma la soluzione passa attraverso la definizione di una politica delle migrazioni che trasformi un evento destinato a caratterizzare il nostro presente e più ancora il nostro futuro, in una risorsa, economica e culturale. Il fatto di poter schierare le navi da guerra non deve farci dimenticare che i criminali sono quelli che approfittano del bisogno altrui non chi di quel bisogno è vittima. E se è giusto combattere i primi con la prevenzione ed eventualmente la repressione, i secondi vanno gestiti, governati, integrati, costruendo quella comunità sanamente multirazziale in cui la migrazione non venga più percepita come un pericolo ma accettata come una opportunità; in cui l’accoglienza non si trasformi in un tranquillo angolo di strada in cui chiedere l’elemosina, ma sia la premessa per il raggiungimento di quello status di cittadino regolato da quella religione civile sintetizzata nella Costituzione e applicata attraverso nella pratica attraverso i suoi codici (civili o penali che siano).

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