Dalle “radio libere” alla giungla del web

 

-di FEDERICO MARCANGELI-

Il 28 Luglio 1976 è un giorno epocale per la radiofonia e l’informazione libera italiana. Proprio in questo giorno, la sentenza 202 della corte costituzionale dichiara l’illegittimità delle norme che impedivano la nascita di radio private. In particolare si sfalda la regolamentazione predisposta dalla legge 103/1975, che garantiva il monopolio statale sulle trasmissioni radiofoniche. L’articolo 1 infatti dichiarava che “La diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o, su scala nazionale, via filo e di programmi televisivi via etere, o, su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo costituisce, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione, un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volta ad ampliare la partecipazione dei cittadini e concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese in conformità ai principi sanciti dalla Costituzione. Il servizio è pertanto riservato allo Stato”.

Gli articoli successivi proibivano qualsiasi attività correlata alla radiofonia, dall’installazione di impianti alla diffusione di programmi, persino per uso strettamente interno. Nonostante questi divieti le radio libere erano nate clandestinamente in molte città. Una delle più celebri era “Radio Milano International”, fondata nel 1975 da quattro ventenni: trasmettevano dalla cameretta di uno loro. Un preludio alla liberalizzazione che sarebbe scoppiata di lì a poco.

Il cavillo su cui facevano leva queste piccole realtà era il termine “circolare” incluso nella legge. Questa definizione lasciava spazio a innumerevoli interpretazioni ed aprì uno spiraglio per l’elusione della norma. Il monopolio riguardava infatti le trasmissioni circolari: un’antenna emittente e tanti destinatari. Quindi, in linea teorica, chi colloquiava via radio con dei destinatari prefissati non violava questi principi. Con questo escamotage nessuno poteva essere perseguito per il solo possesso di impianti radiofonici, visto che non necessariamente rappresentavano un’aperta violazione della legge.

Inoltre, già nel 1974, la Corte Costituzionale aveva permesso la trasmissione in locale via cavo, iniziando uno sdoganamento delle trasmissioni a corto raggio cablate. Anche questo contribuì alla successiva apertura da parte della corte costituzionale. Il paese stava acquisendo una nuova sensibilità verso una diffusione pluralista delle notizie e la Consulta non poteva restare a guardare. Con la sentenza in oggetto la diffusione locale libera diventa via etere, permettendo la nascita di grandi gruppi radiofonici nazionali. Questi ultimi iniziarono ad utilizzare una serie di ripetitori locali per far rimbalzare il segnale in ogni zona d’Italia, non violando i termini previsti dalla Corte (in linea teorica ogni ripetitore era una radio locale).

Da quel luglio di 41 anni anni la strada percorsa dall’informazione è stata lunga. La problematicità legata alle “radio libere” sembra ormai preistoria, in questo mondo digitale che pare non avere regole. Proprio questo è forse il problema attuale, l’assenza totale (o quasi) di regolamentazione, il passaggio da un eccesso all’altro determinato dalla capacità dell’innovazione di correre molto più rapidamente del legislatore la cui capacità predittiva, peraltro, appare fortemente appannata. Nello scorso secolo abbiamo assistito ad un eccesso legislativo sui media, mentre oggi sembrano essere lasciati alla mercé di chiunque, un libero terreno di caccia in cui i responsabili si riescono facilmente a occultare (significativa la storia del Blog di Beppe Grillo che porta il suo nome ma risponde solo di quel che porta la sua firma). L’esempio più lampante è il web, uno strumento tanto potente quanto pericoloso. Ognuno di noi può aprire un portale e diffondere notizie al mondo, con una scarsissima capacità di controllo da parte delle autorità. Non sono rari i casi in cui le informazioni più aberranti (vedasi tutte le bufale lanciate sui migranti) non possano essere attribuite al creatore, abilmente celatosi nella rete. Servirebbe certamente una via di mezzo; un punto di incontro tra l’anacronistico monopolio pre-1976 e la pericolosa (per la stessa libertà di pensiero) assenza di regole del 2017.

fondazione nenni

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