Trasporti, lo sciopero contro i cittadini e il diritto di sciopero

 

Il diritto di sciopero è sacrosanto e non va mai messo in discussione. Ma il suo esercizio non può non essere legato a valutazioni che riguardano i settori colpiti e le controparti “danneggiate”. I più anziani ricordano gli anni Ottanta quando tra “Locomotiva selvaggia” e “Aquila selvaggia” il diritto di sciopero finì pesantemente sotto accusa. I sindacati confederali compresero la delicatezza della questione e accettarono il confronto sulla regolamentazione. Perché una cosa è chiara e lo sanno benissimo le sigle che da mesi bloccano una settimana sì e l’altra no il trasporto pubblico a Roma e in altre città italiane, mandando in tilt il traffico e i nervi dei cittadini: al contrario di quanto avviene in una azienda normale dove viene “colpito” solo il datore di lavoro, nel caso dei servizi pubblici i “colpiti” sono i cittadini (la solidarietà dei quali, invece, dovrebbe essere sollecitata).

Come sanno benissimo un’altra cosa e la sanno tanto bene che la sfruttano: il trasporto pubblico è un settore così complesso che basta un granellino di sabbia per bloccare non uno ma tutti gli ingranaggi; bastano poche assenze per non far partire la metropolitana; il successo dell’agitazione (esaltato dall’Usb che forse non si rende conto sulla pelle di chi lo ha ottenuto) non è quasi mai il frutto della massiccia adesione ma del posizionamento strategico di pochi aderenti all’agitazione. Proprio per evitare questa sorta di “abuso di posizione dominante rispetto al diritto di sciopero” venne elaborata una disciplina che, come spesso capita in Italia, non sempre viene applicata perché c’è anche da chiedersi se non ci siano le condizioni per indurre i prefetti a provvedere alla precettazione visto che la proclamazione dell’agitazione non arriva certo dalle organizzazioni maggiormente rappresentative. E ci sarebbero anche le condizioni per indurre tanto le amministrazioni locali, i sindaci, quanto il governo ad adottare iniziative per porre fine a questo stillicidio.

L’altro giorno a una fermata della metropolitana c’erano dei signori che distribuivano i volantini di una delle tre sigle (il Sul) che hanno partecipato allo sciopero di oggi. Poche righe in cui si lanciavano generiche accuse al governo e ai sindacati confederali, si chiedeva altrettanto genericamente “scusa” ai cittadini ma ci si guardava bene dallo spiegare perché mai era stato deciso di regalare questa nuova giornata infernale alla comunità. La dimenticanza era forse dovuta alla debolezza della motivazione: l’intenzione del governo di procedere alle privatizzazioni (di aziende, va detto, che nella maggior parte dei casi dovrebbero portare i libri in tribunale perché sono tecnicamente fallite o prossime al fallimento). A una signora che chiedeva lumi, uno dei “distributori” rispondeva: “Siamo tutti nella stessa barca”. Il che è vero ma solo in parte.

Perché se è vero che siamo sulla stessa barca è anche vero che sulla barca c’è qualcuno che guida e la fa muovere e qualche altro, invece, che paga per farsi portare da una parte all’altra e nel momento in cui viene lasciato a terra sopporta non solo un disagio materiale (compreso il piccolo pezzo di abbonamento pagato e non utilizzabile) ma anche di tipo sociale (il tempo aggiuntivo imposto dal grande traffico per raggiungere il posto di lavoro o l’allungamento della giornata lavorativa nell’attesa che metropolitane e bus si rimettano in moto). Se quei signori che distribuivano volantini vogliono stare veramente sulla stessa barca, allora dovrebbero provare a sgombrare la propria mente e a vestire i panni degli altri passeggeri cioè di quelli che vengono penalizzati da scioperi proclamati con una periodicità insopportabile. E quella insopportabilità porta acqua soltanto al mulino di chi il diritto di sciopero non vorrebbe soltanto regolamentarlo per conciliare nei servizi pubblici gli interessi dei lavoratori con quelli degli utenti, ma definitivamente cancellarlo.

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